Florida specchio dell’America
È il melting pot dei melting pot. Ospita talmente tanti anziani da essere chiamata ‘la sala dʼattesa di Dio’. Pullula di cubani, portoricani e afroamericani ma nelle campagne del nord i bianchi duri e puri espongono ancora la bandiera degli Stati confederati. E che dire delle città colonizzate dagli universitari accanto a importanti basi militari, come quella del Central Command di Tampa? La Florida è lo specchio dellʼAmerica. O, meglio, dellʼAmerica spaccata dal voto presidenziale. Quella che dallʼElection Day è uscita divisa, fratturata.
Assegnato ai democratici solo sabato, dopo eterne dispute, il Sunshine State non è risultato decisivo per eleggere lʼinquilino della Casa Bianca. Non come lʼOhio e la Virginia, la cui conquista immediata ha assicurato a Barack Obama ‘four more years’. In nessun altro stato però le fratture sociali che solcano lʼAmerica sono evidenti come in Florida. Lʼelezione presidenziale lo dimostra. Stavolta per Obama non cʼè stato il plebiscito del 2008. A livello nazionale, il presidente uscente ha perso 7,6 milioni di voti rispetto a quattro anni fa, passando da 69,4 milioni a 61,8. In Florida la tendenza non è solo rispettata ma amplificata. Obama ha espugnato lo stato per soli 74 mila voti. Un brusco calo rispetto al margine di 236.450 suffragi che risolse la sfida contro McCain.
La Florida è un piccolo microcosmo a stelle e strisce. Oltre alla non indifferente comunità afroamericana, qui si affollano gli ispanici, un segmento destinato a pesare sempre più in America. I cubani sono un milione, hanno posizioni conservatrici (no all’aborto e ai matrimoni gay) e tendenzialmente votano repubblicano. Negli ultimi anni però il quadro si è rimescolato: i portoricani ora sono 850 mila, senza contare gli altri latino-americani. Questi sono più preoccupati dalle leggi sull’immigrazione. E sono per Obama. Secondo gli exit polls, il candidato democratico ha raccolto il 60 per cento dei consensi tra i latinos, il 17 per cento dell’elettorato.
Non solo comunità nazionali. In Florida lo scontro generazionale è acceso. “In effetti, gli anziani sono una cosa per cui siamo famosi”, ci spiega Anna, 22 anni, designer di moda. La demografia le dà ragione. Tra le sei città dʼAmerica con lʼetà media più alta, cinque sorgono sul Golfo del Messico (tutte tra 41,6 e 43,8 anni). Il 24 per cento dellʼelettorato ha più di 65 anni e solo il 42 per cento si è schierato per Obama. Ma “ci sono anche molte città universitarie che bilanciano, dove tutti gli studenti votano democratico”, precisa Anna. E infatti Gainesville e Tallahassee appaiono nella top ten dei centri più giovani della nazione: 24,9 e 26,1 anni rispettivamente.
Talmente spaccata, la Florida, che per assegnare i suoi 29 voti elettorali cʼè voluto fino a sabato. Nulla in confronto al 2000, quando per settimane George Bush, Al Gore e tutti gli Stati Uniti rimasero appesi a quei 537 suffragi per sapere a chi sarebbe andata la presidenza. Stavolta il ritardo è dovuto a diverse variabili. Ci sono i voti dei residenti fuori dallo stato, non ancora conteggiati. Così come quelli provvisori, incompleti perché il votante non ha compilato interamente la scheda. Cʼè poi la confusione dovuta alle lunghissime code ai seggi, causate dallʼaccorciamento da 14 a 8 dei giorni dellʼearly voting. Una decisione che ha intaccato un sistema che avvantaggia i democratici, presa dal governatore repubblicano Rick Scott.
Sbirciando la mappa elettorale delle contee (non degli stati), gli Usa sono un tappeto rosso a pois blu. Una maggioranza soverchiante dellʼAmerica rurale ha votato Romney. Obama ha però vinto nelle città. La Florida non solo non fa eccezione, è uno dei principali palcoscenici di questo fenomeno. Così il sud e le città (Jacksonville esclusa) si schierano per i democratici. Il nord, invece, vota repubblicano: sono le contee del cosiddetto ‘low Alabama’, dove i bianchi si definiscono ‘Florida crackers’, lʼantico nome dei primi coloni e cowboy, oggi simbolo identitario per differenziarsi dagli immigrati.
Le elezioni hanno reso evidente la complessità di questo quadro sociale. E suggeriscono unʼinterpretazione: Obama ha spaccato lʼAmerica sulla questione della sua rielezione. La Florida esemplifica lʼerosione dei consensi per il presidente uscente. Confrontando contea per contea i voti dei candidati nelle elezioni del 2012 con quelli raccolti quattro anni fa si nota che in oltre tre quarti delle contee (57 su 67), i repubblicani hanno aumentato lo scarto o rosicchiato lo svantaggio dai democratici. In 18 di queste, il margine è cresciuto nonostante il numero di votanti per Romney sia diminuito. Obama ha vinto solo 13 contee, due in meno rispetto al 2008: Flagler e Volusia si sono rivelate ‘swing counties’ nello ‘swing state’.
Il presidente uscente ha subito perdite da disfatta: i 33 mila voti in meno di Palm Beach, i 16 mila di Lee, i 13 mila di St. Petersburg sono solo i rovesci più lampanti. Come compensarle? Concentrandosi su tre contee decisive, le uniche in cui la formidabile macchina elettorale democratica sia riuscita ad aumentare il vantaggio sui repubblicani. A Miami, Broward e Osceola, lʼormai leggendario porta a porta ha portato a votare circa 85 mila persone in più rispetto al 2008. Il colpo decisivo, nella Florida espugnata per quellʼinezia di 74 mila voti. Proprio a Osceola – riporta il New York Times – i repubblicani sono rimasti sorpresi dallʼarrivo ai seggi di migliaia di persone di cui nemmeno conoscevano lʼesistenza. Quasi tutti recenti immigrati latinos. Lʼultimo tassello della pluralità sociale della Florida.