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    “Vi racconto chi era mio padre, Pablo Escobar”

    Credit: Getty Images

    Sebastián Marroquín, atteso il 21 settembre a Roma per un evento, spiega cosa significa essere figlio del famoso narcotrafficante

    Di Futura D'Aprile
    Pubblicato il 10 Set. 2018 alle 10:12 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 17:47

    Il figlio del famoso narcotrafficante Pablo Escobar è atteso il 21 settembre per una conferenza al teatro Brancaccio di Roma dal titolo “Pablo Escobar. Una storia da non ripetere”.

    L’uomo, adesso 41enne, ha cambiato nome in Sebastián Marroquín dopo la morte del padre e ha da tempo abbandonato il mondo del narcotraffico in cui è cresciuto per diffondere un messaggio di pace e convincere i più giovani a non prendere la strada dell’illegalità.

    In un’intervista rilasciata al quotidiano Il Tempo, Marroquín ha raccontato le emozioni provate nei momenti successivi alla morte del padre e la sua decisione di abbandonare la vita di un tempo.

    Una delle prime domande fatte al figlio di Escobar riguarda proprio la morte del capo del cartello della droga di Medellin.

    “Si è attardato volontariamente al telefono per farsi localizzare. Era davanti a un bivio: spararsi davanti ai suoi nemici, come è poi accaduto anche se le versioni ufficiali sostengono che sia stato ucciso dalla polizia, o continuare la latitanza condannando a morte la sua famiglia”.

    Il figlio di Escobar racconta poi quanto poco la sua famiglia abbia effettivamente goduto dell’immensa ricchezza accumulata dal padre grazie al narcotraffico.

    “La gente ricorda gli animali esotici, le feste, il lusso. In realtà la guerra di mio padre allo Stato ha ridotto di molto il tempo in cui abbiamo potuto godere di quelle cose e del denaro”, sottolinea.

    L’intervista si sposta poi sul carcere che Pablo Escobar si fece costruire e che prese il nome di La Catedral,  interamente controllato dal capo del cartello di Medellin.

    “Entrava e usciva chi voleva”, racconta Marroquín. “Ricordo le partite di calcio con i giocatori della nazionale colombiana, come René Higuita e Leonel Àlvarez”.

    Al centro dell’intervista anche il rapporto padre-figlio: per Sebastián, Pablo Escobar era “affettuoso e amorevole”, motivo per cui non lo avrebbe mai tradito.

    “Lo amavo più di me stesso e avrei dato la mia vita per proteggerlo”.

    Adesso però, i sentimenti di Sebastián verso il padre stanno cambiando.  “Sono venuto a conoscenza di fatti che mi stanno facendo rivalutare completamente l’idea che ho di lui come padre”.

    I tempi più duri per la famiglia Escobar sono stati quelli immediatamente successivi alla morte del “Padron”: i leader del cartello di Cali, con cui Pablo era in guerra, promisero a Sebastián di lasciare lui e i suoi parenti in cambio di tutti i soldi guadagnati dal cartello di Medellin.

    Il figlio di Escobar, a soli 17 anni, decise di accettare le richieste di resa: “Abbiamo avuto salva la vita”.

    Sebastian ha anche messo da parte il desiderio di vendicare la morte del padre, preferendo invece “iniziare un percorso di pace per lasciarci alle spalle la guerra che abbiamo ereditato”.

    Le ultime domande dell’intervista sono state sulle serie targata Netflix “Narcos”, più volte accusata dal figlio di Pablo Escobar di glorificare il mondo del narcotraffico.

    Il giornalista de Il Tempo ha fatto però notare a Sebastián Marroquín che l’azienda da lui diretta vende maglie con il volto del padre, ma secondo l’uomo il suo obiettivo è “scoraggiare i giovani dall’intraprendere azioni criminali”.

    Sono infatti molti i ragazzi, anche italiani, che scrivono a  Sebastián dicendo di voler diventare narcotrafficanti come il padre.

    “È mia responsabilità utilizzare la mia storia affinché tutto questo non si ripeta”, ha concluso il figlio di uno dei signori della droga più importanti della storia.

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