La Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti, pubblicata su Facebook dal Liberty County Vindicator, un piccolo giornale del Texas, è stata censurata per errore dall’algoritmo del social network creato da Mark Zuckerberg.
È accaduto il 2 luglio 2018, proprio a ridosso della festa nazionale statunitense dell’Independence Day, che si celebra il 4 luglio in onore dell’adozione del documento.
Ma per quale motivo l’algoritmo che controlla i post pubblicati su Facebook ha bloccato il testo legislativo firmato nel 1776 e considerato il più importante dal popolo americano?
All’intelligenza artificiale del social network non è sfuggito il riferimento di Thomas Jefferson agli “spietati selvaggi indiani” contenuto nel testo, catalogando la Dichiarazione come “hate speech” (incitamento all’odio), e ha subito censurato il documento.
Ecco il post del pubblicato dal Liberty County Vindicator su Facebook:
Facebook, tuttavia, si è rapidamente reso conto della falla commessa dagli algoritmi, reintregando il post rimosso e facendo un mea culpa.
“Sembra che abbiamo fatto un errore e abbiamo rimosso qualcosa da voi postato su Facebook che non era contrario agli standard della nostra comunità. Ce ne scusiamo e vi informiamo che abbiamo ripristinato il vostro contenuto e rimosso ogni limitazione del vostro account legata a quell’intervento non corretto,” si è scusato il social con un messaggio al Liberty County Vindicator.
La risposta del direttore del giornale texano, Casey Stinnett, non si è fatta attendere: “Forse se Thomas Jefferson avesse scritto ‘i nativi americani sono in una fase difficile di sviluppo culturale’ sarebbe stato meglio. Purtroppo Jefferson, come molti coloni britannici suoi contemporanei, non aveva una visione propriamente amichevole dei nativi americani”, ha detto Stinnett ironicamente.
Sono circa 15 mila i dipendenti di Facebook che, con l’ausilio di algoritmi, si occupano esclusivamente di individuare contenuti che corrispondono agli standard del cosidetto “hate speech”, ovvero un attacco diretto verbale che si basa su “caratteristiche protette”, come sesso, etnia e religione.