Evo per sempre
Si batte la mano destra sul cuore Evo, a simboleggiare il posto che occupa dentro di lui la Bolivia, e con la sinistra chiusa a pugno saluta la folla che lo acclama. Il sorriso smagliante abbraccia la gente riunita ad attendere il suo discorso per l’inaugurazione dell’aeroporto internazionale di Oruro, nella regione dell’Altipoano dello Stato andino. Evo indossa un completo scuro, e per una volta ha abbandonato la chompa, ovvero il golf a righe che richiama l’abbigliamento degli agricoltori boliviani e che è solito sfoggiare anche nelle occasioni ufficiali per sottolineare la sua appartenenza al popolo.
Juan Evo Morales Ayma è il presidente dello Stato Plurinazionale di Bolivia, ma tutti lo chiamano con il solo nome di battesimo, da quando gli efficaci esperti della sua campagna elettorale ne hanno diffuso l’immagine di politico compañero e uomo della porta accanto. Ex cocalero, ovvero coltivatore della pianta medicinale della coca tanto invisa agli Stati Uniti, e primo capo di Stato indigeno della storia boliviana, Morales è entrato in carica nel 2006 grazie ai voti dei campesinos, i lavoratori della terra di origine quechua e aymara. Nel 2009 è stato rieletto trionfalmente alla presidenza con il 63 per cento dei consensi, dopo aver promosso con successo una riforma della Costituzione in senso socialista e indigenista.
Evo ha voluto la creazione dell’ aeroporto, costato 14 milioni di euro, per dare nuovo slancio commerciale alla depressa zona mineraria di Oruro, di cui egli stesso è originario. “Per il nostro dipartimento è un giorno storico”, dichiara Evo alla folla festante, “e questa grande opera dimostra l’appoggio del governo allo sviluppo agricolo della regione”. Tutt’intorno, si stagliano grandi cartelli pubblicitari che sciorinano le cifre del benessere economico che dovrebbe produrre l’aeroporto e declamano “Bolivia Cambia, Evo Cumple”, traducibile con “La Bolivia cambia, Morales mantiene le promesse”, magnificando il grande programma di investimenti che il presidente ha inaugurato per accelerare lo sviluppo del Paese.
Tuttavia, poco lontano dal luogo delle celebrazioni, infuria la polemica. Diverse organizzazioni cittadine, come il Comité Civico, contestano la decisione del governo di intitolare l’aeroporto a Morales stesso. “Si tratta dell’ennesima riprova che in Bolivia il governo promuove un vero culto della personalità del presidente”, dice Armando Zaballos, un commerciante di libri 35enne. “Da quando Morales è stato rieletto, è cominciata una impressionante stagione di abusi da parte del governo e specialmente da parte del capo di Stato, che soffre evidentemente di manie di grandezza”.
La polemica sul nome dell’aeroporto di Oruro non è un episodio estemporaneo nell’attuale panorama politico boliviano. Una forte contestazione nei confronti del presidente impazza da quando il suo portavoce ha reso nota l’intenzione di Morales di presentarsi alle elezioni presidenziali una terza volta, nonostante la Costituzione limiti a due mandati la carica del capo di Stato. Il 20 febbraio scorso il Governo ha presentato alla Corte Costituzionale un progetto di ‘Legge di Applicazione Nazionale’, che in caso di approvazione da parte dei giudici permetterebbe a Morales di competere nella consultazione elettorale del 2015.
“In Bolivia è sempre difficile stabilire cosa è legale e cose non lo è, perché tutto cambia piuttosto rapidamente” dice Israel Angus, una giovane guida turistica che parla spagnolo, quechua e giapponese e che ha votato Morales alle ultime due elezioni. “Prima il presidente della Bolivia era Gonzalo Sanchez, e Morales era considerato un terrorista, un indio indegno di far parte del Congresso”, continua Angus, “ora il presidente è Morales, Gonzalo Sanchez è inseguito da un mandato di estradizione nella sua casa negli Stati Uniti e Evo vuole cambiare di nuovo la Costituzione. Tutte le decisioni nel mio Paese si giudicano a posteriori, ma secondo me stavolta Morales ha esagerato. Potrà pure vincere, ma di sicuro non avrà il mio voto”.
“Le politiche di Morales stanno assumendo contorni sempre più populistici”, dice Alejandro Ormeño, avvocato che lavora nel campo dei diritti civili, “e l’intera campagna Evo Cumple non è che una gigantesca macchina elettorale i cui risultati pratici si contano sulle dita di una mano. In realtà, il governo sta spendendo una quantità impressionante di denaro pubblico in imprese che hanno il fine ultimo di garantire la rielezione del presidente”.
Nonostante la contestazione, il presidente non si scompone e tira dritto per la sua strada, forte di un largo consenso tra le fasce più umili della popolazione. Juan Carlos Medina, uno degli organizzatori del celebre Carnevale di Oruro, del tipico elettore di Evo possiede il colore della pelle ma non lo status sociale, eppure difende con fervore l’operato del capo di Stato: “La verità è che la Bolivia è ed è sempre stata un Paese razzista: il ‘personaggio Morales’ dà fastidio a tutta quella intellighenzia bianca di origine europea che non accetta un presidente indigeno che ha tagliato i ponti con i privilegi di classe e con gli appalti alle multinazionali che hanno caratterizzato la storia della Bolivia fino a qualche anno fa”.
Secondo Medina “la grande maggioranza del popolo chiede la riconferma di Morales, ed è proprio ciò che accadrà, nel rispetto della legge, se la Corte Costituzionale darà il suo parere favorevole. Altri cinque anni di governo sono indispensabili per compiere quella rivoluzione sociale che è iniziata più di dieci anni fa, e che Evo conduce dal 2006”. Anche la comunità internazionale starebbe giudicando favorevolmente l’operato del presidente boliviano, nelle parole di Medina: “È un fatto che la Fao, l’agenzia dell’Onu che si occupa della fame nel mondo, abbia scelto Evo Morales come ambasciatore della quinoa, il cereale che potrebbe costituire una risorsa importantissima nella lotta contro la fame del mondo. Tutto ciò dimostra come l’impegno del presidente in favore delle fasce più svantaggiate della popolazione, in Bolivia e ovunque, non passi inosservato agli occhi dell’opinione pubblica mondiale”.
La Corte Costituzionale esprimerà tra due mesi il suo verdetto sulla rieleggibilità del presidente Morales, e allora le parole lasceranno spazio ai fatti. La Bolivia aspetta, e nel frattempo spera che Evo “mantenga le promesse”.
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