In occasione dell’anniversario della liberazione di Auschwitz, il 27 gennaio viene celebrato il Giorno della Memoria. Si commemora la fine di un disastro ben pianificato che ha visto lo sterminio di milioni di persone nel corso di un decennio.
Riconoscendo le colpe del passato, ci si dice che ricordando l’orrore che fu certe cose non potranno più accadere. Mai più si sterminerà un popolo in base alla propria origine, mai più si chiuderanno gli occhi di fronte al male. Il 27 gennaio ci si dice che l’Europa ha capito gli errori commessi ed è diventata migliore.
Parole di cordoglio e pentimento cercano di offuscare un realtà in completa opposizione con ciò che viene declamato ovunque nel continente: l’Europa non ha imparato, non è pentita, non è cambiata, non ricorda.
Primo Levi aveva predetto: “è accaduto e quindi potrebbe accadere di nuovo”. Il modo in cui i rifugiati vengono trattati e gestiti ovunque nell’Unione Europea ne è la prova tangibile.
Martedì, solo un giorno prima della celebrazione della Giornata della Memoria, la Danimarca ha approvato una legge che prevede la requisizione di beni di valore superiori ai 1300 euro dai richiedenti asilo presenti sul proprio territorio. La scusa per una tale scelta è che i beni confiscati serviranno a coprire le spese dello stato nella gestione dei profughi. Inoltre i rifugiati presenti sul suolo danese dovranno aspettare tre anni prima di poter avviare le pratiche per il ricongiungimento familiare.
Lunedì scorso invece ministri dell’interno di diversi paesi dell’Unione si sono riuniti ad Amsterdam per discutere un’eventuale sospensione del trattato di Shenghen al fine di bloccare il flusso di richiedenti asilo che sta raggiungendo il cuore dell’Europa.
Pressioni sempre più forti vengono fatte sulla Grecia affinché limiti l’ingresso dei migranti all’interno dei propri confini. L’unico modo in cui ciò potrebbe essere realizzato sarebbe attraverso un blocco navale che veda sempre più imbarcazioni affondare nel mare trascinando con sé chi vi è a bordo.
La settimana scorsa le autorità francesi hanno distrutto con bulldozer e mezzi di forza una parte consistente del campo profughi sorto a Calais. Chi viveva nelle abitazioni distrutte è stato forzato in sistemazioni che ricordano centri di detenzione. Tutta Calais è circondata da barriere e filo spinato, e da mesi ai rifugiati che vengono scoperti mentre tentano di attraversare il confine tra Francia e Regno Unito viene riservato un trattamento di pura violenza che include l’uso di gas lacrimogeno e manganelli.
Questi fatti ricordano da vicino il trattamento che veniva riservato ai profughi ebrei che tentavano di scappare dallo sterminio nazista.
In un passato che si è cercato di dimenticare, negli anni ’30 e ’40 le nazioni europee al di fuori del controllo nazista facevano di tutto per ergere barriere e limitare l’ingresso di profughi ebrei. Anche allora venne stabilito un sistema di quote, e anche allora fu un fallimento: solo nel 1939, erano 309.000 i richiedenti asilo a fronte di quote per 27.000 persone.
Cedendo a forti pressioni, e in seguito alle assicurazioni della comunità ebraica inglese di sobbarcarsi il costo dell’impresa, il Regno Unito nel 1939 offrì ospitalità a 10.000 bambini ebrei non accompagnati. I genitori vennero lasciati a morire.
In un’eco grottesca, in questi giorni l’Inghilterra di Cameron ha ceduto alle pressioni dell’opposizione, e ha annunciato che un numero non definito di bambini siriani non accompagnati potranno entrare nel Regno Unito. I loro genitori, di nuovo, verranno lasciati a morire.
Niente è cambiato, e la memoria degli orrori della Seconda Guerra Mondiale non è servita a prevenirne di nuovi. La storia si ripete, e con essa i suoi errori.
Forse in Europa si raggiungerà un limite alla cattiveria e all’odio che cittadini e istituzioni stanno riservando ai migranti. Forse qualcosa cambierà. Forse verrà istituita una nuova giornata della memoria per ricordare quello che non abbiamo fatto per fermare una tragedia che ha già visto la morte di migliaia di persone annegate nel mare, morte di freddo, rinchiuse in centri di detenzione nel deserto, o in paesi perseguitati da guerre e dittature. Ma sarà già troppo tardi.