È di almeno 67 morti il bilancio degli scontri avvenuti in Etiopia durante alcune manifestazioni contro il premier Abiy Ahmed, a cui è stato recentemente assegnato il premio Nobel per la pace per aver portato a compimento l’accordo con l’Eritrea, dopo una guerra sanguinosa durata decenni.
Le ribellioni nel paese sono iniziate mercoledì 23 ottobre: ad innescarle sono stati i sostenitori di Jawar Mohammed, leader dell’opposizione, che accusano il governo e la polizia di voler togliere la scorta al politico, esponendolo così al rischio di un attentato ai suoi danni. Alcuni attivisti sostengono che la polizia si sarebbe già organizzata per arrestarlo e per ucciderlo
I manifestanti sono centinaia di migliaia, e da giorni hanno invaso le strade di alcune città del paese. Hanno bruciato pneumatici, eretto barricate. Negli scontri con la polizia, diverse persone hanno perso la vita: i feriti sono centinaia.
Le proteste sono iniziate nella capitale Addis Abeba, ma si sono poi estese ad altre aree del paese, in particolare alla città di Adama, nella regione Oromia.
Jawar Mohammed era un alleato del premier Abiy Ahmed, ma di recente lo ha accusato di aver contribuito, con alcune riforme, ad acuire divisioni etniche nel paese, in particolare non dando sufficiente rappresentanza ad alcune etnie e comunità.
Mohammed è il fondatore di Oromia Media Network (OMN), un gruppo di media di opposizione in Etiopia.
Attualmente il governo etiope ha predisposto un dispiegamento di forze in diverse aree del paese per contrastare le proteste dei manifestanti.
Abiy Ahmed, diventato primo ministro nell’aprile 2018, è l’uomo che dopo tanti anni è riuscito a mettere la parola fine alla guerra con l’Eritrea.
Sul fronte interno, però, alcune sue riforme sono state discusse da gruppi di opposizione. Una situazione ora degenerata con scontri che stanno insanguinando il paese.
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