Nelle etichette dei beni israeliani importati nell’Unione europea e prodotti nei territori di Palestina e Siria dovranno essere specificati i luoghi esatti d’origine, secondo quanto stabilito mercoledì 11 novembre 2015 dalle ultime linee guida della Commissione europea.
COSA CAMBIA CONCRETAMENTE
Secondo le linee guida della Commissione, i beni prodotti da imprese israeliane situate nei territori occupati da Israele dovranno d’ora in poi indicare l’origine precisa del luogo in cui sono stati prodotti, come per esempio Cisgiordania o Golan, ma sempre e comunque accompagnati dalla specificazione “insediamento israeliano”. I beni prodotti in quelle zone da aziende palestinesi, potranno utilizzare la terminologia “prodotto in Palestina”.
Sarà obbligatorio indicare l’origine precisa di prodotti come la frutta fresca, le verdure, il vino, il miele, l’olio d’oliva, le uova, la carne di pollo, i prodotti organici e cosmetici. Sarà invece facoltativo per cibi inscatolati e per la maggior parte dei prodotti industriali.
Alcune linee guida simili sulle etichette dei beni prodotti in quelle zone erano state adottate volontariamente nel 2009 da Regno Unito, Danimarca e Belgio.
La distinzione viene fatta poiché l’Unione europea non riconosce come israeliani i territori occupati da Israele – ossia la striscia di Gaza, la Cisgiordania, l’altopiano di Golan e Gerusalemme est – dal giugno 1967 in poi. Per questo, i prodotti provenienti da quelle zone non dovrebbero beneficiare di accordi commerciali preferenziali.
La Commissione europea ha emesso il documento giustificandolo con la motivazione di dover rendere i cittadini dell’eurozona informati sulla reale origine dei prodotti, così da poter scegliere liberamente se supportare o meno le imprese israeliane illegalmente stanziate sui territori occupati.
L’IMPATTO ECONOMICO
Le imprese stanziate nei territori occupati sarebbero all’incirca cento e la loro produzione costituirebbe solo il 2 per cento delle esportazioni totali israeliane.
Il ministro dell’Economia israeliano stima che l’impatto della decisione di mercoledì sarà pari a poco più di 45 milioni di euro all’anno. Il valore dei beni israeliani importati nell’Unione europea nel 2014 era pari a circa 13 miliardi di euro.
LE REAZIONI DELLE AUTORITÀ ISRAELIANE
Il presidente Benjamin Netanyahu, che al momento dell’emissione delle linee guida era in visita ufficiale a Washington, ha dichiarato che l’Europa dovrebbe vergognarsi e ha definito la decisione della Commissione “ipocrita” e “discriminante”.
Secondo quanto riportato dal The Guardian, in una lettera indirizzata al presidente del Parlamento europeo Martin Schulz nell’ottobre 2015 – quando già venivano discusse dalle autorità dell’Unione europea diverse modifiche da apportare alla terrminologia delle etichette dei prodotti israeliani in Europa – Netanyahu avrebbe definito il piano come discriminatorio e “incoraggiante” per coloro che desiderano “l’eliminazione di Israele”.
Il presidente israeliano ha inoltre etichettato nella lettera le proposte dell’Unione europea come una “mossa politica” che potrebbe “condurre a un effettivo boicottaggio di Israele”.
Nell’aprile del 2015, in segno di protesta contro la creazione di questo documento, l’ex ambasciatore israeliano negli Stati Uniti Michael Oren aveva riempito di adesivi con su scritto “Made in Europe” i beni prodotti dai Paesi dell’Unione europea presenti in un supermercato di Gerusalemme.
Oren aveva anche definito la decisione europea come “antisemita”.
IL RUOLO DEL MOVIMENTO INTERNAZIONALE DI BOICOTTAGGIO CONTRO ISRAELE
La scelta della Commissione europea è stata definita un tentativo di distruzione dello stato ebraico di Israele da parte degli oppositori del movimento internazionale Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (Bds).
Il movimento Bds si occupa di minare le finanze di Israele, boicottando le istituzioni e i beni israeliani e promuovendo disinvestimenti da alcune aziende del Paese e sanzioni per Israele stesso.
Esso si propone di continuare col boicottaggio finché gli insediamenti israeliani nei territori palestinesi non saranno smantellati, i palestinesi avranno pari diritti all’interno dei confini d’Israele e finché non sarà garantito il “diritto di ritorno” – ossia il diritto di ritornare nelle terre e case in cui abitavano prima dell’insediamento di Israele – ai rifugiati palestinesi.
Per il movimento Bds – nonostante i tentativi da parte della propaganda israeliana di associare Bds e Unione europea – l’iniziativa promossa dalla Commissione europea è in realtà ben distante dagli obiettivi che il movimento stesso si propone.
“Se l’Unione europea vuole davvero mettere in pratica una politica di non-riconoscimento della sovranità di Israele nei territori arabi occupati dal 1967, perchè non impone un divieto di importazione sui beni prodotti da fabbriche israeliane sui territori occupati?”, ha detto Rafeef Ziadah, un membro del segretariato del Consiglio nazionale palestinese di Bds. “Delle semplici etichette, al posto dell’imposizione di un divieto, suggeriscono solo l’ipocrisia politica per eccellenza [dell’Ue].”
In passato, il movimento Bds definì invece la chiusura di una fabbrica israeliana della multinazionale SodaStream in Cisgiordania una vittoria per la Palestina, nonostante il licenziamento di molti palestinesi impiegati della fabbrica.