Il presidente Erdogan ha revocato il 18 luglio 2018 lo stato di emergenza, in vigore nel paese da quasi due anni e imposto dopo il tentato golpe del luglio 2016.
Lo stato di emergenza, infatti, era stato dichiarato il 21 luglio 2016 in diretta televisiva dallo stesso Erdogan, dopo il fallito tentativo di colpo di stato della notte tra il 15 e il 16 luglio.
In base all’articolo 120 della Costituzione turca, il provvedimento può essere introdotto, in caso di diffusi atti di violenza volti alla destrutturazione dell’ordine democratico, per un periodo non superiore ai sei mesi.
Da allora lo stato di emergenza è stato prorogato più volte e ciò ha permesso al presidente Erdogan e al governo di scavalcare il parlamento nella promulgazione di nuove leggi e di limitare o sopprimere i diritti e le libertà personali.
Associazioni per i diritti umani come Amnesty International e l’Unione europea continuano però a criticare le misure adottate dalla Turchia negli ultimi due anni e hanno definito la revoca dello stato di emergenza una misura insufficiente.
Dal 2016 infatti sono state arrestate più di 50mila persone e altre 150 sono state licenziate o sospese dal proprio posto di lavoro con l’accusa di presunti legami con Gulen, l’imam che secondo Erdogan è dietro il tentato golpe.
Le misure straordinarie imposte nel paese negli ultimi due anni hanno anche interessato i filo-curdi e i membri dell’opposizione, permettendo al presidente di governare incontrastato e di eliminare una parte dei suoi oppositori politici.
Inoltre, anche giornalisti, insegnanti, giudici e diversi attivisti per i diritti umani sono stati coinvolti nelle purghe portate avanti da Erdogan.
Circa un quarto dei giudici turchi sono stati licenziati o si trovano in carcere e il governo ha abbracciato una politica che ha permesso il riallineamento della magistratura ai voleri del presidente, provocando indignazione e preoccupazione sull’indipendenza della magistratura.
Alcuni giorni prima di annunciare la revoca dello stato di emergenza, il governo turco ha anche licenziato più di 18mila dipendenti pubblici tra funzionari di polizia, militari, insegnati e professori universitari.
Secondo quanto dichiarato dal governo turco, i dipendenti licenziati erano considerati una “minaccia alla sicurezza dello Stato”.
“Negli ultimi due anni, la Turchia è stata radicalmente trasformata dalle misure di emergenza utilizzate per consolidare il potere con misure draconiane, per mettere a tacere le voci critiche e per eliminare i diritti fondamentali”, ha dichiarato Fotis Filippou, vicedirettore di Amnesty International per l’Europa.
“Sollevare lo stato di emergenza da solo non invertirà questa repressione. Ciò di cui c’è bisogno è un’azione sistematica per ripristinare il rispetto dei diritti umani, consentire alla società civile di prosperare di nuovo ed eliminare il clima soffocante di paura che ha inghiottito il paese”.
A sollevare nuove critiche nei confronti del governo del presidente Erdogan è stata anche una proposta di legge da poco presentata al parlamento.
Il disegno di legge mira a preservare alcune misure previste dallo stato di emergenza per altri tre anni.
Nello specifico, il provvedimento prevede l’estensione fino a 12 giorni del tempo in cui i detenuti possono essere trattenuti in carcere attraverso una semplice ingiunzione del tribunale.
Prima dell’imposizione dello stato di emergenza, il periodo massimo era di soli 2 giorni.
Inoltre, il presidente manterrà il potere di licenziare i dipendenti pubblici accusati di avere legami con il terrorismo.
I governatori, invece, avranno il diritto di negare ai cittadini il diritto di uscire o entrare dalla loro regione per un massimo di 15 giorni, sempre per motivi di sicurezza.
Il partito di Erdogan, dopo le ultime elezioni, non ha più la maggioranza assoluta, ma il Movimento nazionalista di estrema destra, alleato del presidente, sosterrà la legge.
Dal mese di luglio, la Turchia è anche passata dal sistema parlamentare a quello presidenziale, in linea con un cambio della Costituzione approvato con un referendum nel 2017.
Il presidente è adesso a capo dell’esecutivo e ha il diritto di nominare e rimuovere i vicepresidenti, un ruolo appena creato, i ministri, gli alti funzionari e i giudici senza aver bisogno dell’approvazione del parlamento.
Inoltre, il presidente può sciogliere il Parlamento, emanare decreti esecutivi, imporre un nuovo stato di emergenza e grazie ad una nuova legge ha anche il controllo dello stato maggiore dell’esercito.
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