Una folla festante era presente all’aeroporto di Teheran per accogliere il ritorno in Iran di Elnaz Rekabi, l’atleta che aveva gareggiato ai campionati di arrampicata di Seul senza indossare il velo. Applausi, fiori e un grido unanime dei presenti: “Sei la nostra eroina”. Perché il suo gesto ha dato ulteriore visibilità a livello internazionale alle proteste che animano da settimane il Paese, in seguito alla morte di Mahsa Amini: le donne chiedono la fine dello schema patriarcale sul quale è fondata la società della Repubblica Islamica, il leader spirituale Ali Khamenei è ormai disconosciuto dalla popolazione e la repressione del dissenso è feroce: l’organizzazione non governativa Iran Human Rights denuncia che dall’inizio delle proteste sono state uccise almeno 201 persone, 23 delle quali erano bambini.
L’atleta trentatreenne in un post su Instagram aveva affermato che l’hijab le era caduto “accidentalmente”. Messaggio che alcuni ritengono sia stato sotto costrizione da parte delle autorità iraniane. Non è stato reso noto dove si trovi ora Elnaz Rekabi: secondo la testata Iran Wire sarebbe stata portata nella prigione di Evin. La testata afferma inoltre che potrebbe essere costretta ad apparire pubblicamente sui canali della tv di Stato per chiedere scusa per quanto accaduto in Corea del Sud. Al suo ritorno ha ribadito ai media la versione affidata in prima battuta ai social network: “A causa della situazione durante la finale della competizione e del fatto che sono stato chiamata per gareggiare quando non me l’aspettavo, mi sono ritrovata impigliata nella mia attrezzatura tecnica (…). Per questo non ho fatto attenzione al velo che avrei dovuto indossare”.
“Sono tornata in Iran in pace – ha aggiunto – in perfetta salute e secondo il programma previsto. Mi scuso con il popolo iraniano per le tensioni che si sono create”. In una nota la Federazione internazionale di arrampicata sportiva ha fatto sapere di voler “continuare a monitorare la situazione” dell’atleta dopo il suo ritorno a Teheran.