Gli Stati Uniti sono chiamati a scegliere se voltare pagina o confermare per altri quattro anni Donald Trump alla guida del Paese: martedì 3 novembre, dopo i quattro anni di presidenza del tycoon, gli Usa andranno alle urne per eleggere il 46° presidente della storia americana. Un’America più divisa che mai.
Viaggio in Pennsylvania: “Qui ci si gioca tutto. Se Biden vince, sarà presidente”
L’Hard Rock Cafè di Philadelphia, a due passi dalla City Hall, ha coperto tutte le vetrine con tavole di legno già da giovedì sera. Jay Williard, il general manager del celebre ristorante, dice che “le tavole rimarranno almeno fino a metà novembre, fino a quando non sarà stato contateggiato l’ultimo voto e il risultato sarà ufficiale, nella speranza che la notte delle elezioni non succeda qualcosa di strano, perché sennò a Philadelphia radono al suolo mezza città”. Se potesse, coprirebbe anche la chitarra elettrica di 20 metri che ha come insegna ma sarebbe troppo complicato, la lascia così e spera che non gliela sfascino.
Come lui hanno fatto tutti i negozi del centro, a cui ormai si accede solo da porte provvisorie tagliate nelle tavole di compensato. I disordini sono iniziati lunedì sera quando la polizia ha ucciso con diversi colpi d’arma da fuoco Walter Wallace Jr, afroamericano con problemi psichici che brandiva un coltello per strada. I manifestanti la sera hanno bloccato la zona ovest di Philadelphia e nella notte sono iniziati i saccheggi nei centri commerciali. Ma molti dei negozi avevano già iniziato a ordinare le blindature già dalla settimana prima, poiché l’incertezza della notte elettorale crea timore di sommosse ancora più radicali. Da venerdì in città è arrivata la guardia nazionale. Un Humvee con cinque soldati armati presidia la “ballot drop box” di Market Street, una specie di casella postale, ma adibita alla sola raccolta dei voti per corrispondenza.
In Pennsylvania infatti sarà possibile votare via posta fino a martedì, e quando chiuderanno i seggi “fisici” alcune contee avranno ancora da scrutinare tutto il carico del voto postale, circa sette milioni di schede elettorali delle oltre 75 attese in tutti gli USA. Potrebbero volerci alcuni giorni. Il ricorso al voto postale è risultato necessario per evitare folle ai seggi che potessero favorire la diffusione del Covid, ma i ritardi e le complicazioni nelle procedure di conteggio promettono di essere il centro della polemica post-elettorale. I venti grandi elettori assegnati dalla Pennsylvania infatti sembrano essere per Joe Biden sufficienti a garantirsi una vittoria sicura, se nessuno degli stati in cui i Democratici hanno una maggioranza solida nei sondaggi dovesse riservare sorprese.
In questo clima surreale di sommosse, coprifuoco e esercito per strada la campagna continua serrata. Nel 2016 Donald Trump aveva distaccato Hillary Clinton di poco più di un punto e sebbene i sondaggi oggi diano in vantaggio Joe Biden, ogni voto è prezioso. Mentre i sostenitori di Trump battono le contee della zona di Harrisburg, i democratici concentrano gli sforzi con catene di telefonate dei loro volontari nel tentativo di recuperare il voto afroamericano, largamente disilluso e distaccato dalla politica. L’affluenza alle urne dell’elettorato afroamericano nel 2016 infatti scese di oltre il 10 per cento rispetto alle elezioni precedenti.
Sapendo che nello stato della costa orientale ci si gioca il risultato delle elezioni, negli ultimi tre giorni i due contendenti alla Casa Bianca hanno visitato la Pennsylvania più volte. Trump ha tenuto tre comizi nella sola giornata di sabato ma anche Biden si è fatto vedere più volte nel suo stato natale. “Se andrà bene in Pennsylvania, allora andrà bene in tutti gli Stati Uniti” dice Josh Shapiro, procuratore generale e membro del Partito Democratico, e in effetti la sensazione è quella. Joe Biden ha la vittoria in mano ma deve difenderla dall’ultimo assalto del presidente in carica. Se tiene botta nella sua Pennsylvania, gli si dovrebbero aprire le porte della Casa Bianca.
“La polizia ci spara addosso, l’America capitalista ci sfrutta. Ora noi neri spacchiamo tutto”: reportage da Philadelphia
La protesta inizia pacifica verso le sette di sera di martedì 27 ottobre al parco Malcom X, nella zona ovest di Philadelphia, ma è subito chiaro che pacifica non rimarrà per molto, perché la rabbia è tanta e il sangue sull’asfalto ancora fresco. Circa 24 ore prima infatti un altro afroamericano, l’ennesimo, è stato freddato dalla polizia. Un video emerso il giorno stesso dimostra che la vittima brandiva un coltello per strada. L’uomo, Walter Wallace, aveva problemi psichiatrici e stava dando in escandescenza, la madre poco prima dello sparo urlava alla polizia di non aprire il fuoco e che Walter si sarebbe calmato. Ma gli agenti, che avevano entrambi il taser in tasca, invece di ricorrere alle scosse elettriche hanno preferito sparare una dozzina di pallottole.
La notte di Philadelphia si scalda subito, gruppi di ragazzi presidiano gli angoli tra la 52esima e Market street e attaccano le volanti, la polizia crea posti di blocco, si sposta rapidamente ma non riesce a inseguire i ragazzi incappucciati che si perdono nel buio delle viette laterali. La prima vetrina a saltare è un Foot Locker, poi altri negozi a fianco. La polizia carica, la folla si disperde ma poi ricompare compatta pochi isolati più in là. Una ragazza urla da un megafono che “se è vero che i neri non hanno nulla, allora tutto ciò che rubano lo rubano a chi li sfrutta, perché i grandi marchi, negozi e centri commerciali sono solo uno dei tanti modi con cui il capitalismo esclude i neri, e quindi prendersi ciò che viene negato è un diritto”.
Alcuni ragazzi riempiono un cofano di una macchina di vestiti appena portati via da un Puma store, un signore esce da un Walmart con una lavatrice adagiata su un carrello. Trump l’aveva detto, “bad things happen in Philadelphia”, (a Philadelphia succedono brutte cose) ma nessuno sapeva a cosa si riferisse e trattandosi di Trump, probabilmente non lo sapeva neanche lui. Fatto sta che di brutte cose ne sono successe parecchie, e con tutta probabilità ne accadranno di altre. Ma il presidente può gongolare perché l’ondata di violenze non può che far vacillare ulteriormente il voto moderato che in Pennsylvania sembrava premiare Joe Biden, ma che in questa fase finale della campagna pare sempre più un bilico.
Alcuni isolati più in basso alcuni polacchi proprietari di un bar siedono armati davanti all’ingresso del loro locale per difenderlo dai rivoltosi: è la seconda notte di seguito che fanno da guardia e dicono di essere convinti che non sarà l’ultima. La violenza non è un fenomeno raro e il tasso di criminalità qui è tra i più alti d’America. Inoltre, con un tasso di povertà di oltre il 23 per cento, Philadelphia detiene il record di grande città più povera d’America, tasso che scende sotto il 15 per cento per i cittadini bianchi e sale invece vicino al 30 per quelli neri, che costituiscono quasi la metà degli abitanti della città.
L’onda dei saccheggi verso le dieci si sposta a nord della città attorno ad Aramingo avenue, zona di centri commerciali. Arrivano macchine di continuo, il negozio tra i più bersagliati vende decorazioni di Halloween. Vengono presi d’assalto anche supermercati e negozi di vestiti, sempre vestiti, ambìti e facili da portare via. Delle ragazze scappano per il parcheggio inseguite da un furgone della polizia, abbandonano la refurtiva per fuggire più rapidamente e si dileguano. Gli agenti non ci provano neanche ad arrestarle, per stanotte la polizia controlla, disperde e limita i danni. Da un altro megafono si sente gridare: “Non ci ascoltano, non ci rispettano non vengono puniti quando ci sparano addosso, e allora stanotte noi ci prendiamo tutto”.
Lo scopo della protesta infatti non è riempire gli armadi, ma non fare passare inosservata la morte di un ragazzo, la volontà è quella di creare problemi alle istituzioni e alla città perché si capisca che la comunità afroamericana non ne può più di vedere persone morire per mano della polizia. Nelle periferie di Philadelphia stasera è rimasto solo l’odio e la voglia di spaccare tutto.
Viaggio nel Bronx: “Io, repubblicano italo-irlandese, voglio sconfiggere Ocasio-Cortez e il suo socialismo”
“As long as you get rid of her Johnny” (Basta che ti liberi di lei Johnny), con questo augurio scandito con accento da film di Scorsese, una signora infila il santino nelle buste della spesa, ma non si ferma a sentire il comizio, non ne ha bisogno tanto ha già deciso di votare per lui. John Cummings corre come candidato indipendente supportato dal Partito Repubblicano contro l’astro nascente del partito democratico Alexandra Ocasio-Cortez. I due si contendono il quattordicesimo distretto che copre la parte centrale del Bronx e il nord del Queens, case basse e strade larghe, che costeggiano villette e case popolari. Una volta ci vivevano quasi solo italiani e irlandesi, oggi invece c’è una crescente popolazione latina e qualche creativo di Manhattan che, barbetta e bici a scatto fisso alla mano, fa capolino tra il traffico serale del rientro.
John Cummings è mezzo italiano e mezzo irlandese, ex agente di polizia del New York Police Department, cattolico e insegnante di liceo. Johnny, come lo chiamano tutti, deve ribaltare uno dei “blue districts” le roccaforti democratiche, più blindato d’America, vinto dalla Ocasio-Cortez nel 2016 con oltre il 75 per cento dei voti. Generalmente nota come AOC, la Ocasio-Cortez è il politico democratico con la presenza social più forte d’America. Giovane e radicale, è la paladina di una nuova generazione di elettori democratici. Le politiche sociali e di redistribuzione dei redditi proposte da AOC le hanno fatto guadagnare la fama di “socialista” che per gli elettori moderati americani rimane poco più che una bestemmia.
Per rendere un’idea della performance mediatica della Ocasio-Cortez, la candidata ieri ha invitato i suoi supporter sulla piattaforma di gaming online Twitch a guardarla mentre giocava ad uno dei videogame più usati al momento: “Among Us” e chiacchierava di politica. All’appello hanno risposto oltre 700mila utenti. Al Havana Cafè su Trenton Avenue, dove Cummings parlava ai suoi elettori, non c’erano più di trenta persone, “ma tutte del Bronx, tutti elettori veri perché la mia è una campagna per la mia comunità e non per i numeri da social media” chiude secco Cummings “Johnny is a real boy from the Bronx, you gotta vote for Johnny!” (Johnny è un vero ragazzo del Bronx, votate Johnny”) urla Willy Santos, padre portoricano e nonni di Bari, mentre registra la sua instagram story.
Willy è una celebrità locale, l’ironia delle pubblicità della sua lavasecco e il suo profilo Instagram, dove prende il nome di Mr.Positive, ha attirato l’attenzione della TV nazionale la NBC. Da quando è famoso nel quartiere Willy si auto-definisce il “DJ Khaled delle lavasecco”. Ad aprire la serata invece è l’amico e sponsor Phil Pignatelli, genitori astigiani, imprenditore nel settore delle costruzioni nel Bronx. “I miei genitori erano lavoratori italiani, immigrati e massoni” attacca Phil “siamo l’identikit tradizionale dell’elettore democratico e infatti lo siamo stati, ma ‘lei’ non si può votare, non ha niente a che vedere col partito democratico che abbiamo conosciuto, un partito che difendeva le nostre comunità e la classe media”.
La raccolta fondi di Cummings, sebbene di molto indietro a quella della sua sfidante, rende comunque la sua campagna una delle più finanziate d’America. I soldi sono arrivati da ogni Stato, “la popolarità di AOC ha aiutato anche la nostra raccolta fondi, non lo nego” sottolinea il candidato. “In America tante gente la vuole fuori dal congresso”. Cummings vende la sua immagine di uomo del quartiere, questa volta l’outsider è lui e la giovane democratica invece è il volto noto. “Non sono un politico ma un professore che non poteva più stare a guardare mentre il mio distretto è governato da una socialista, io odio tutto ciò che anche solo odora di socialismo, sono per un governo piccolo e lontano dalla gente, per la libera imprenditoria per tutti, su questo si basa l’America”.
Cummings passa poi ad attaccare la Ocasio-Cortez per aver ostacolato il progetto di Amazon di aprire un campus nella circoscrizione e di aver sprecato l’opportunità di creare appalti e posti di lavoro. AOC ha fatto della sua battaglia contro Amazon, e contro il miliardario Jeff Bezos, una bandiera, sostenendo che il conseguente incremento degli affitti avrebbe costretto gli abitanti più poveri ad andarsene. Una campagna che gli ha fruttato consensi a livello nazionale ma a spese della classe media del quattordicesimo distretto, dice Cummings.
“Vuole mantenere i cittadini di questo quartiere poveri e dipendenti dai sussidi, così sa che manterrà i suoi voti. Così funziona il socialismo, schiacciando e uccidendo la classe media”. E continua: “Perché la classe media non obbedisce, non si piega, la classe media siamo noi, le famiglie di immigrati che hanno fatto grande il Bronx”. Un’altra delle battaglie portate avanti dalla democratica Ocasio-Cortez è la riforma del sistema di polizia a New York, generalmente urlata nelle piazze con lo slogan “defund the police” (togliete i fondi alla polizia), una riforma ritenuta necessaria dopo gli episodi di violenza in divisa ai danni delle minoranze.
Cummings è un ex agente di polizia, come lo era suo padre e solo a pronunciare “defund the police” quasi gli va di traverso l’acqua. “Togliere i fondi alla polizia? Togliere i fondi ad AOC dico, la polizia mantiene l’ordine in questa città, questa città era in mano ai fuorilegge prima di Rudy Giuliani, sindaco repubblicano e italo-americano autore della controversa policy dello “stop and frisk”, e i democratici vogliono riportarla in mano alle gang”.
Nella sua campagna non ci sono simboli repubblicani o cartelli per Trump, John Cummings ha il pieno supporto dei repubblicani ma ci tiene a presentarsi come un candidato indipendente , d’altronde il distretto è un bastione democratico e per scalfirlo ci vuole tattica. Cummings batte porta a porta tutto il quartiere mentre a detta sua di AOC non si hanno notizie da mesi, “lei fa la reginetta social dei democratici ma nel Bronx non si vede mai” accusa Cummings, che incurante dei sondaggi incalza “vedrete che il 4 novembre, giorno dopo le elezioni, sarò io la seconda notizia del giorno”.
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Qui i reportage sul campo di TPI dell’inviato negli Usa Pietro Guastamacchia:
1. Viaggio nel Bronx: “Io, repubblicano italo-irlandese, voglio sconfiggere Ocasio-Cortez e il suo socialismo”
2. “La polizia ci spara addosso, l’America capitalista ci sfrutta. Ora noi neri spacchiamo tutto”: reportage da Philadelphia
3. Viaggio in Pennsylvania: “Qui ci si gioca tutto. Se Biden vince, sarà presidente”