SILVIA DALLABRIDA DA VIENNA – Habemus Präsident! Oggi titolano così i maggiori quotidiani locali austriaci. Con un giorno di ritardo, l’Austria elegge il proprio capo di stato.
Alexander Van der Bellen, economista tirolese vicino ai Verdi diventa il primo “eco-presidente” d’Europa, battendo di misura, con il 50,34 per cento delle preferenze, il suo avversario, l’ultra-nazionalista Norber Hofer.
Decisivo è stato lo spoglio dei voti per corrispondenza, che ha ribaltato i risultati del primo turno, bloccando la corsa del partito della libertà austriaco (FPÖ) al 49,6 per cento.
Scampata la paura per la deriva estremista, è tempo di riflessioni. Perché se è lecito festeggiare ora la vittoria della democrazia contro le posizioni xenofobe e anti-europee di Hofer, questo non deve distogliere da una critica analisi del quadro che emerge da queste ultime presidenziali.
La manciata di voti – 31.026 per l’esattezza – che separa i due sfidanti, lascia il paese diviso in due. La polarizzazione della società austriaca è sintomatica dell’incapacità dei partiti di centro (SPÖ e ÖVP) di affrontare in maniera concreta una situazione socio-politica estremamente delicata che vede contrapporsi i temi caldi della crisi dei rifugiati, da un lato, e della recessione, dall’altro.
Il crollo dei partiti tradizionali non rappresenta un fenomeno nuovo e nemmeno limitato ai confini nazionali. Cosa nuova, invece, è la dimensione e forza propulsiva della destra populista austriaca, che ha ottenuto in molti dei Länder quasi il 70 per cento dei voti.
Sebbene il voto al partito della FPÖ sia apparso a molti più come un segno di protesta contro un’élite politica distante dal proprio elettorato che come una manifestazione di vicinanza ideologica alle posizioni di estrema destra, non si possono sottovalutare le voci di coloro i quali hanno dato il proprio consenso a Hofer.
Il compito del nuovo presidente Van der Bellen e dell’intero establishment politico sarà arduo. Le parole d’ordine dovranno essere cooperazione e dialogo, non solo tra le parti politiche, bensì anche con la stessa base elettorale, troppo spesso dimenticata.
Per risanare la ferita che spacca in due il paese, tutti i partiti dovranno iniziare al più presto un processo di trasformazione, sia sul piano dei contenuti che strategico.
Se oggi l’Austria ha scelto di non essere la prima nazione del dopoguerra con un presidente di estrema destra, potrebbe essere la prima ad eleggere un governo ultra-nazionalista alle elezioni del 2018. Questo dipenderà molto da come la classe politica saprà reagire alle nuove dinamiche del paese.
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