Elezioni Regno Unito, gli exit poll: trionfo di Johnson
I primi exit poll sulle Elezioni in Regno Unito (proclamate lo scorso ottobre) indicano un trionfo dei conservatori, dei Tory guidati dal primo ministro Boris Johnson, e una netta sconfitta del largo fronte delle forze politiche pro-referendum sulla Brexit. I dati sono stati diffusi subito dopo la chiusura dei seggi, alle ore 22 locali, le 23 italiane.
Secondo l’exit poll di Ipsos Mori diffuso dalla Bbc, le elezioni nel Regno Unito di oggi, giovedì 12 dicembre, assicurano una maggioranza assoluta dei conservatori alla prossima Camera dei Comuni. I dati indicano che i Tory potrebbero ottenere 368 seggi su 650 (l soglia della maggioranza assoluta è fissata a 326). Al Labour di Jeremy Corbyn vengono intanto attribuiti solo 191 seggi, peggio delle attese, e all’intero fronte pro-referendum bis circa 260 seggi.
I dati: Tory di Boris Johnson 368 seggi su 650; Labour di Jeremy Corbyn 191; Snp (indipendentisti scozzesi) 55; Lib-dem 13; Pc 3; Verdi 1; altri 19.
Dunque, i primi dati indicano un trionfo a valanga per Boris Johnson. Ai conservatori viene attribuita una maggioranza assoluta alla prossima Camera dei Comuni. Un successo che viene inseguito dal primo ministro per sigillare la Brexit e portare formalmente il Regno Unito fuori dall’Ue il 31 gennaio.
L’esultanza di Johnson: “È la più grande democrazia al mondo”
“Grazie a tutti nel nostro grande paese, a chi ha votato, a chi è stato volontario, a chi si è candidato. Viviamo nella più grande democrazia del mondo”, ha twittato Boris Johnson subito dopo la diffusione degli exit poll che hanno segnalato per i Conservatori la conquista della maggioranza assoluta ai Comuni.
La disfatta del Labour, peggior risultato dal 1935
Subito dopo la diffusione dei primi dati sull’esito del voto è iniziato un processo a Jeremy Corbyn per la disfatta del Labour. Come evidenziato dalla Bbc si tratta del peggiore risultato per il partito dal 1935. Il politologo Michael Thrasher afferma che Corbyn sarà ricordato tra “i peggiori leader laburisti della storia”. Il cancelliere dello Scacchiere ombra, John McDonnell, braccio destro di Corbyn, rinvia da parte sua le decisioni su eventuali dimissioni ai risultati ufficiali. Ma ammette che il voto “è stato dominato dalla Brexit”.
In Scozia dominio dei secessionisti, 55 seggi su 59
Da segnalare il dato della Scozia. Nel territorio i secessionisti dell’Snp di Nicola Sturgeon hanno conquistato, secondo l’exit poll, la quasi totalità dei seggi, 55 su 59. Gli indipendentisti sono decisi a chiedere una rivincita referendaria anche e soprattutto sulla secessione da Londra come risposta alla Brexit. Oggi hanno spazzato via tutti i partiti nazionali e quasi azzerato l’avanzata del 2017 degli stessi conservatori. Il dato dei 55 seggi su 59 disponibili, a un soffio dal record storico delle elezioni del 2015 e in netto recupero rispetto ai 35 di due anni fa.
Male Lib-dem e secessionisti gallesi
L’Snp è peraltro l’unica formazione anti Brexit ad avanzare. I liberal-democratici sono indicati indicati a quota 13, appena un seggio in più rispetto al modesto risultato di due anni fa e in calo di 5 rispetto ai 18 seggi controllati alla Camera dei Comuni alla fine della legislatura scorsa dopo la cooptazione di alcuni ex Tory ed ex laburisti moderati. Male pure i secessionisti gallesi di Plaid Cymru, in calo da 4 a 3 seggi, e i Verdi, fermi a 1.
Il ruolo del Brexit Party di Farage in favore di Johnson
Il leader del Brexit Party, Nigel Farage, non considera una sconfitta il risultato negativo di zero seggi, stando agli exit poll. Il partito è stato fatto riassorbito dal partito conservatore di Boris Johnson dopo il trionfo delle Europee di maggio. Ma secondo Farage, intervistato a caldo dalla Bbc, ha comunque contribuito a favorire il successo Tory e a evitare lo spettro di un Parlamento senza maggioranza: sia non presentando candidati in oltre 300 collegi già controllati dai conservatori, sia togliendo voti ai laburisti di Corbyn in diverse circoscrizioni del cosiddetto ‘muro rosso’ dell’Inghilterra centro-settentrionale e del Galles, tradizionalmente di sinistra, ma in maggioranza pro Brexit e contrarie a un secondo referendum.
Lo scenario
Erano diversi gli scenari del voto nel Regno Unito. I sondaggi a ridosso del voto hanno indicato come favoriti i Tory guidati da Boris Johnson, con un vantaggio sui Labour di Jeremy Corbyn che si era però assottigliato negli ultimi giorni. Con un largo successo dei conservatori viene ritenuto probabile un divorzio veloce del Regno Unito dall’Ue. Londra uscirebbe dall’Unione il 31 gennaio prossimo. In caso di vittoria risicata Johnson potrebbe comunque concludere l’addio entro la fine del mese prossimo ma la situazione sarebbe più complicata. Il premier potrebbe essere ostaggio delle sue fazioni interne.
Elezioni Regno Unito, la legge elettorale
Johnson ha spinto molto per queste elezioni, dopo aver preso il posto di Theresa May come primo ministro inglese. Il suo obiettivo è di sbloccare l’impasse sulla Brexit dopo aver tentato per un anno, invano, di far approvare al Parlamento l’accordo di uscita negoziato in precedenza con l’Unione europea.
La legge elettorale britannica prevede un sistema maggioritario a collegio uninominale, con la formula del “first past the post”. Un maggioritario puro. In ogni collegio, dunque, viene eletto il candidato che prende anche un solo voto in più del secondo, anche senza arrivare al 50 per cento dei consensi. È questa una particolarità che rende molto più ingarbugliato il sistema delle possibili alleanze post-voto, soprattutto con i partiti locali che – ottenendo pochi voti ma tutti concentrati in pochi collegi – hanno spesso un’alta rappresentanza in Parlamento.
Elezioni Regno Unito, i candidati
A contendersi la vittoria finale, nel corso delle elezioni di oggi in Regno Unito, fin dall’inizio c’erano solo due dei candidati: il premier uscente e leader dei Conservatori, Boris Johnson, e il segretario del Partito laburista Jeremy Corbyn.
Secondo i sondaggi della vigilia, infatti, Johnson avrebbe ottenuto circa il 40 per cento delle preferenze, vincendo le elezioni senza però ottenere una maggioranza stabile. Mentre Corbyn si sarebbe dovuto accontentare della seconda piazza, con il 30 per cento dei voti.
Gli altri candidati, però, assumono un ruolo molto importante in ottica alleanze di governo: non tanto Nigel Farage e il suo Brexit Party – che ha deciso di far confluire buona parte dei suoi voti nel partito conservatore – bensì Jo Swinson, la giovane leader dei LibDem, i Verdi, i gallesi di Plaid Cymru, i nordirlandesi di Sinn Féin, il Partito nazionale scozzese di Nicola Sturgeon e il Partito unionista democratico dell’Irlanda del Nord.