Il 19 maggio oltre 50 milioni di cittadini iraniani aventi diritto di voto sono chiamati alle urne per eleggere l’ottavo presidente della Repubblica Islamica dell’Iran.
Dopo il ritiro della candidatura dell’attuale sindaco di Teheran Mohammad Baqer Qalibaf, la sfida vede contrapposti il presidente eletto Hassan Rouhani, chierico moderato e supportato dall’ala riformista, e due dei sei candidati ammessi: Seyyed Ebrahim Raisi e Mostafa Hashemi Taba.
L’ultimo a ritirarsi dalla corsa presidenziale è stato Mustafa Mir Salim, candidato del partito Mo’talefe’ Eslam’ (Coalizzati Islamici), che ha annunciato l’ultimo giorno di campagna elettorale il suo appoggio al candidato dello schieramento conservatore Raisi.
Rouhani è il favorito per la vittoria. Uno degli ultimi sondaggi ha mostrato che il presidente in carica rimane in testa con il 41,6 per centro delle preferenze, ma il suo avversario Raisi, esponente dell’ala principalista, ha recuperato terreno.
Alcuni analisti hanno notato che Rouhani, negli ultimi giorni della sua campagna elettorale, ha cambiato la sua retorica, criticando in modo aperto i suoi rivali, inclusi i vertici del Corpo delle guardie della Rivoluzione islamica, ossia i pasdaran. Questo cambio di toni ha ricordato la sua strategia adottata nella precedente campagna presidenziale del 2013.
La stoccata del presidente in carica è arrivata durante l’ultimo dibattito televisivo trasmesso il 12 maggio dalla tv di stato iraniana. Rouhani ha difeso i passi in avanti compiuti in campo economico, difendendo il suo operato e i suoi sforzi per migliorare l’economia nazionale. In questo frangente, il candidato ha colpito i suoi avversari non risparmiando critiche alle Guardie rivoluzionarie.
“Se vogliamo un’economia migliore, non dobbiamo lasciare che i gruppi di sicurezza siano coinvolti in questo settore”, ha dichiarato Rouhani nel corso del confronto. Il presidente si è così rivolto alle Guardie della Rivoluzione della Repubblica islamica, che rappresentano la forza militare elitaria la cui ingerenza è assai radicata in diversi settori della società iraniana e che non ha fatto mistero di sostenere il candidato conservatore Ebrahim Raisi.
“I nostri cittadini vogliono la libertà politica e sociale”, ha poi aggiunto Rouhani. Le affermazioni del presidente in carica sono state sovvertite dagli avversari conservatori che hanno criticato i suoi sforzi in campo economico, ritenendo che questi non abbiano apportato alcun miglioramento nella vita degli iraniani, nonostante il ridimensionamento della portata delle sanzioni occidentali.
Ebrahim Raisi ha descritto la performance di Rouhani in campo economico come scarsa, sottolineando che 250mila piccole imprese hanno chiuso i battenti nell’ultimo anno; che la disoccupazione nel paese sia piuttosto elevata e che il potere d’acquisto delle persone e delle famiglie iraniane sia diminuito drasticamente.
Quanto contano le elezioni in Iran
Sebbene il processo elettorale sia differente da quello che le nazioni occidentali descrivono come libere e giuste – in Iran, i leader religiosi hanno diritto di veto sui candidati – il presidente svolge un ruolo di rilievo nella definizione della politica estera e interna dell’Iran, che influisce notevolmente sui flussi sociali. Questi hanno anche la facoltà di nominare membri chiave del governo, oltre ai governatori provinciali.
Le elezioni in Iran sono spesso interpretate in modo limitativo e pregiudizievole. Il sistema politico iraniano, a scapito di quanto spesso si crede, è tutt’altro che monolitico e la corsa alla presidenza è una sfida competitiva.
“In occidente, le elezioni in Iran sono viste o bianche o nere, non esistono le sfumature. C’è un capo supremo che si colloca al di sopra di tutto e tutti e il resto non è importante”, ha spiegato un’analista iraniano.
Sebbene la presidenza rimanga subordinata all’Ayatollah Alì Khamenei, che in quanto leader supremo ha l’ultima parola sulle questioni straniere e nazionali dell’Iran, i presidenti possiedono dal canto loro una notevole influenza.
Si pensi all’accordo sul nucleare stipulato dal governo di Teheran con le potenze occidentali nel 2015. L’Iran ha accettato di frenare l’avanzata del suo programma nucleare in cambio dell’abolizione di una serie di sanzioni internazionali che gravavano sull’economia nazionale.
Un simile accordo sarebbe stato inimmaginabile durante la presidenza di Mahmoud Ahmadinejad, che aveva attuato un approccio isolazionista e rinfocolato l’astio nei confronti dell’Occidente e in particolare per gli Stati Uniti con le sue retoriche esplosive e anti-americane. Il suo successore, al contrario, ha sostenuto fin da principio l’accordo sul nucleare e ha contribuito ad avviare il processo di disgelo delle relazioni con le potenze occidentali. Ha perfino criticato i vertici della Guardia Rivoluzionaria per aver tentato di compromettere l’accordo.
L’enfasi di Rouhani e la sua promessa di apertura verso la comunità internazionale mostra chiaramente come i presidenti influiscano sul tessuto sociale, economico e culturale nazionale.
In campo economico, sotto Ahmadinejad l’inflazione era salita al 40 per cento, mentre nel 2016 l’inflazione sotto Rouhani si è attestata intorno al 7,5 per cento, secondo i media iraniani. Tuttavia, la disoccupazione rimane comunque una preoccupazione per l’attuale amministrazione e motivo di accuse e di critiche nei suoi confronti.
Come funzionano le elezioni in Iran
Si tratta della 12esima elezione presidenziale della Repubblica Islamica dell’Iran. L’età minima per votare è di 18 anni e gli elettori chiamati alle urne sono circa 50 milioni. I presidenti possono ricoprire la carica solo per due mandati consecutivi, che hanno una durata di quattro anni.
Tra gli elettori non bisogna dimenticare gli indecisi che rappresentano una fetta consistente della popolazione iraniana. “Ci sono persone che sostengono che il cambiamento non stia avvenendo in maniera abbastanza veloce. Costoro non vedono l’impatto provocato dal ridimensionamento delle sanzioni occidentali sul tessuto sociale, come risultato dell’accordo nucleare”, ha spiegato un analista iraniano.
Ogni adulto di origine iraniana e con nazionalità iraniana può prendere la sua carta d’identità, alcune fotografie di dimensioni normali e i documenti necessari da presentare al ministero degli Interni in via Fatemi a Teheran per registrarsi come candidato. Ma non tutti sono autorizzati a partecipare.
Nell’organigramma politico iraniano, ad avere diritto di veto sui candidati è il cosiddetto Consiglio dei Guardiani, un organo composto da 12 membri appartenenti al clero, che ha potere di inclusione ed esclusione dei candidati. Per queste elezioni, almeno 1600 persone si sono iscritte nelle liste dei candidati, ma il Consiglio ha approvato in ultima battuta soltanto sei persone.
Per vincere, un candidato deve ottenere più del 50 per cento delle preferenze. Se nessun candidato conquista la maggioranza dei voti, allora si andrà al ballottaggio in calendario per il 26 maggio.
La sfida tra Rouhani e Raisi
Se sul versante internazionale, l’amministrazione guidata dal moderato Rouhani ha portato a termine ciò che aveva promesso in campagna elettorale, dall’altro lato queste elezioni presidenziali sono considerate una sorta di referendum a favore o meno dell’attuale presidente.
Con l’accordo sul programma nucleare, Rouhani ha stabilizzato l’economia iraniana e ha contribuito ad abbassare i tassi d’inflazione, ma dall’altra non è riuscito a risolvere il problema della disoccupazione nel paese.
Tra marzo 2016 e marzo 2017, il tasso di disoccupazione è aumentato dall’11 al 12,4 per cento. Nello specifico, tra le donne il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 21 per cento e tra gli iraniani di età compresa fra i 15 e i 29 anni si è registrato un livello di disoccupazione pari al 26 per cento. Non è un caso che negli ultimi sondaggi gli intervistati hanno posto come priorità per il prossimo governo il tema del lavoro.
Il più insidioso tra i candidati presidenziali è senza dubbio Ebrahim Raisi, sceso in campo a fianco dei conservatori e paladino dei diritti dei ceti più poveri. Quest’ultimo ha condotto una campagna elettorale incentrata sulle priorità economiche e imperniata sui valori del lavoro e della dignità. Forte del suo ruolo di presidente della fondazione Astan Quds Razavi, che si occupa delle donazioni al sepolcro dell’Imam Reza a Mashhad, nell’Iran orientale, il 56enne Raisi è stato perfino indicato come possibile successore di Khamenei, una posizione più alta di quella di presidente.
Il candidato principalista è considerato il pupillo della Guida Suprema. Con indosso il suo turbante nero che lo inquadra come un seyed, ossia un discendente diretto del profeta Maometto, Raisi ha alle spalle una lunga carriera. Nell’estate del 1988, fu uno dei quattro giudici responsabili dell’esecuzione di massa di esponenti della sinistra iraniana e dissidenti. Di recente Raesi è stato procuratore generale dell’Iran e detiene ancora una posizione di rilievo all’interno del sistema giudiziario iraniano.
La questione dei diritti umani sotto Rouhani
Nei tre anni di mandato, il presidente iraniano Rouhani non ha mantenuto la sua promessa fatta in campagna elettorale, ossia il rispetto dei diritti civili e politici. Sotto la sua presidenza, le esecuzioni sono continuate a un ritmo elevato, in particolare quelle eseguite per i reati di droga. La denuncia è arrivata dal rapporto annuale 2017 stilato da Human Rights Watch e reso pubblico di recente.
L’organizzazione non governativa ha sottolineato come la linea dura e intransigente domini l’apparato di sicurezza e la magistratura, reprimendo i cittadini che vogliono esercitare i loro diritti legittimi, ignorando palesemente norme giuridiche internazionali e nazionali.
Nonostante un rallentamento nelle esecuzioni registrato nei primi mesi del 2016, le autorità iraniane hanno all’attivo almeno 203 esecuzioni capitali, ma le organizzazioni per i diritti umani hanno stimato che questo numero potrebbe aggirarsi intorno ai 437 individui giustiziati. Secondo quanto dichiarato dalle autorità governative, la maggior parte delle esecuzioni nel paese sono state messe in atto per punire i reati di droga.
Stando alla legge iraniana, molti reati sono punibili con la pena di morte. In Iran si può essere giustiziati per aver insultato il profeta, per apostasia, per rapporti sessuali fra persone dello stesso sesso, per adulterio e poi per reati di droga.
In un precedente rapporto pubblicato nel 2016, il relatore speciale per l’Iran delle Nazioni Unite, Ahmed Shaheed, ha dichiarato che molte disposizioni del codice penale iraniano “facilitano gravi abusi“ e criminalizzano l’affermazione dei diritti fondamentali. Secondo il centro di documentazione per i diritti umani in Iran, nel 2016 sono stati registrati almeno 821 prigionieri politici e di coscienza nelle carceri iraniane.
Sotto la presidenza di Rouhani, il tema legato al rispetto dei diritti umani non è stato trattato a sufficienza dal governo centrale. A questo proposito, occorre sottolineare come il raggio d’azione del presidente sia limitato. Per esempio, a quest’ultimo non spetta la funzione di nominare i giudici e non ha un controllo diretto sull’operato della magistratura. Ma a lui spetta il potere di indagare sulle istituzioni statali che violano i diritti costituzionali.
Quali conseguenze avrà il voto in Iran?
Difficile prevederlo. Una delle tematiche più calde in questa campagna elettorale è stata senza dubbio la questione legata all’economia nazionale, che ha rappresentato il terreno su cui gli sfidanti in lizza hanno combattuto la loro vera battaglia.
Non bisogna dimenticare un altro aspetto: l’Iran ha un peso specifico notevole in Medio Oriente. La sua stabilità e le sue decisioni in politica estera influenzano i paesi vicini.
Inoltre, il governo di Teheran è coinvolto nel conflitto siriano, è strettamente legato a Hezbollah in Libano e ha interessi in paesi dove la presenza di comunità di musulmani sciiti è assai radicata, come in Iraq e in Yemen.
Per quanto concerne le relazioni con gli Stati Uniti, non è possibile ipotizzare al momento se la vittoria di un candidato o di un altro cambierebbe radicalmente questi rapporti, soprattutto alla luce delle ultime dichiarazioni del presidente Donald Trump che intende apportare alcune revisioni sull’accordo nucleare.
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