Non è soltanto una rivincita il nuovo scontro tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen, che questa domenica si sfideranno al ballottaggio come cinque anni fa. La replica del secondo turno del 2017 segna il consolidamento del nuovo sistema politico francese: i due partiti che hanno strutturato la Quinta Repubblica, i Républicains neogollisti e il Partito socialista, arrivati entrambi sotto il 5 per cento al primo turno, non esistono più, e le due forze che ne hanno preso stabilmente il posto, La République en marche e il Rassemblement national, rappresentano a pieno il nuovo confronto tra apertura e chiusura, sovranismo e globalizzazione, blocco elitario e blocco popolare.
Il grande insegnamento delle elezioni francesi è dunque la chiusura definitiva di una stagione, quella dell’alternanza tra destra e sinistra, non più aderente alla realtà del sistema politico. Oggi c’è una nuova contrapposizione tra due blocchi omogenei dal punto di vista sociologico: gli elettori di Macron e Le Pen votano più in base all’appartenenza di classe che all’ideologia. Da un lato Macron rappresenta appieno il blocco elitario composto da pensionati con un alto livello di istruzione, quadri, professionisti che vivono nelle grandi agglomerazioni urbane, dall’altro Le Pen prende a piene mani dalle fasce più in difficoltà della popolazione, quelle che hanno perso la sfida della globalizzazione e vivono lontane dalle grandi aree metropolitane.
Macron è in una posizione particolare. È molto più popolare dei suoi due predecessori, Nicolas Sarkozy e François Hollande, ha mantenuto molte delle sue promesse della campagna elettorale del 2017, soprattutto nei primi due anni di mandato, e ha restituito alla Francia una nuova centralità negli affari internazionali. Il 27,8 per cento ottenuto al primo turno, una crescita di 3,8 punti rispetto al 2017, è un segnale evidente della fedeltà del suo elettorato, contento della gestione del Paese durante il mandato trascorso.
Eppure è detestato da una parte consistente dell’opinione pubblica, non soltanto per le sue politiche ma anche per la sua personalità, giudicata arrogante, gelida, sconnessa dalle preoccupazioni quotidiane dei francesi. Per provare a recuperare questi tratti criticati dai suoi cittadini, dopo il risultato del 10 aprile il presidente ha condotto una campagna “sul campo”, moltiplicando i bagni di folla e le visite in zone a lui sfavorevoli dal punto di vista elettorale.
Un modo di mostrare di essere capace di rispondere alle critiche e di incassare il giudizio dei cittadini. Cosciente di doversi rivolgere agli elettori che al primo turno hanno votato il leader della France insoumise, Jean-Luc Mélenchon, il presidente ha inoltre accettato di rivedere la sua unica proposta forte di questa campagna elettorale, l’aumento dell’età pensionabile da 62 a 65 anni, dicendosi aperto a una crescita meno ampia. Non solo, ha anche inviato molti segnali ai francesi sensibili all’ecologia, rendendo più verde il suo programma e tratteggiando la sua visione del futuro energetico del Paese in un lungo discorso a Marsiglia il 16 aprile.
Marine Le Pen, invece, affronta questo secondo turno in un momento di relativa difficoltà dopo un periodo molto favorevole. L’irruzione sulla scena del polemista Éric Zemmour è stata una benedizione per lei: a partire da settembre 2021 il fondatore di Reconquête ha monopolizzato l’attenzione dei media e attirato su di sé le critiche di storici, giornalisti, avversari e intellettuali per le sue continue provocazioni. Una sorta di parafulmine per Le Pen, che ha potuto condurre una campagna elettorale senza fuochi d’artificio, quasi nell’ombra, tra mercati, piccole città, riunioni pubbliche senza grandi folle. Il tutto per martellare soltanto un concetto, la perdita di potere d’acquisto dei francesi e come farvi fronte, una scelta che le ha permesso di apparire meno estremista e più vicina alle preoccupazioni delle classi sociali meno agiate.
A questo si è aggiunta l’intelligente scelta di legare tutta la comunicazione al nome proprio della candidata: il cognome, che ricorda troppo il padre Jean-Marie, è stato completamente cancellato dai manifesti elettorali di Marine, dai volantini e persino dai cori dei sostenitori durante i comizi. Risultato, rispetto a cinque anni fa, tutti i tratti d’immagine della candidata sono migliorati: ormai il 46 per cento dell’elettorato, secondo un sondaggio Kantar Public per Le Monde dello scorso gennaio, ritiene che la candidata del Rassemblement national rappresenti una destra patriottica e attaccata ai valori tradizionali, soltanto il 20 per cento pensa la stessa cosa di Éric Zemmour, che per il 64 per cento dei francesi è un candidato di estrema destra nazionalista e xenofoba. Così, il 10 aprile, Marine Le Pen ha ottenuto il 23,1 per cento, circa 2 punti in più rispetto al 2017.
Malgrado il buon risultato ottenuto due settimane fa, per vincere i due candidati possono contare più sulle debolezze dell’avversario che sulle proprie forze. Macron deve difendere un bilancio con luci e ombre, ha un profilo molto divisivo che alimenta il rancore di chi non lo ha votato, e non è riuscito a contrastare l’impressione di essere un politico che decide da solo, senza confrontarsi con l’opposizione e i sindacati. D’altro canto, Marine Le Pen non può più nascondere il suo programma, ancora molto estremista e ormai passato al setaccio dai media e dall’avversario.
L’inserimento della preferenza nazionale in Costituzione, che apre la porta a politiche esplicitamente discriminatorie per i cittadini non francesi, la volontà di sospendere la libera circolazione di persone e merci tra la Francia e il resto dell’Unione europea, la diminuzione unilaterale di 5 miliardi di euro della contribuzione della Francia al bilancio europeo sono proposte che possono piacere al suo elettorato di riferimento, ma non a una maggioranza dei francesi. Senza contare la volontà di abbandonare il comando integrato della Nato e i progetti militari comuni con la Germania.
Così, Macron deve sperare che la società si mobiliti e voti per lui al fine di evitare Le Pen, che a sua volta punta sull’astensione degli indecisi, sulla loro volontà di non turarsi il naso votando il presidente, in modo da fare più affidamento sulla sua base consolidata. Comunque andrà a finire, assisteremo a una nuova rivoluzione politica. Se Emmanuel Macron dovesse essere rieletto, il sistema andrà incontro a un grande cambiamento, perché nel 2027 lui non potrà ricandidarsi ed è difficile immaginare una quarta candidatura di Mélenchon e Le Pen dopo tre sconfitte consecutive. Se invece dovesse vincere Le Pen, i rapporti tra Francia ed Europa subirebbero una rivoluzione, e l’avventura politica di Macron finirebbe seduta stante, lasciando un vuoto che destra e sinistra tradizionali potrebbero provare a occupare. Niente sarà come prima. Ancora una volta.
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