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    Vola la destra: l’Europa è finita?

    Credit: Unsplash

    Il voto sancisce il trionfo degli ultra-conservatori, mentre i leader più europeisti crollano sulle loro posizioni belliciste. Nelle nostre democrazie cova profondo malessere. Così il Vecchio Continente ha vita breve

    Di Roberto Bertoni
    Pubblicato il 10 Giu. 2024 alle 11:13 Aggiornato il 28 Giu. 2024 alle 17:12

    Guardate l’esito di queste elezioni e capirete per quale motivo temiamo fortemente che stavolta l’Europa abbia davvero poche possibilità di salvarsi.

    Prendiamo ad esempio i due Paesi cardine, Francia e Germania. Nel primo, abbiamo assistito al trionfo annunciato di un partito, quello di Marine Le Pen, che fino a qualche anno fa non rinnegava, anzi, la Repubblica di Vichy, ossia i collaborazionisti del nazismo, e al tracollo di Macron e del suo partito personale (il presidente ha sciolto l’Assemblea Nazionale e indetto le Legislative per il prossimo 30 giugno, con ballottaggio il 7 luglio), con i socialdemocratici di Glucksmann che arrancano nel tentativo di ritrovare un’identità ma, per il momento, non ci riescono.

    Nel secondo, abbiamo visto l’avanzata di Alternative für Deutschland, che supera l’Spd e sostanzialmente consegna un avviso di sfratto al Governo Scholz, la faticosa tenuta della Cdu post-merkeliana e, come detto, il tracollo di quel che resta dei socialdemocratici, il partito che un tempo fu di Willy Brandt mentre oggi esprime un cancelliere privo dell’autorevolezza necessaria per guidare la principale economia del Vecchio Continente.

    Del resto, basta riguardare le immagini del vertice di due settimane fa a Dresda, quando i due capi in testa, dimentichi del fatto che gli ultimi che hanno provato a invadere la Russia siano stati proprio un francese e un tedesco, con le conseguenze che sappiamo, vaneggiavano di attacchi alle basi militari russe con armi europee, inneggiando sostanzialmente alla Terza guerra mondiale.

    Certo, dispiace che ad avvantaggiarsi del loro collasso sia stata l’estrema destra ma, d’altronde, è difficile, storicamente parlando, che dalle crisi epocali si esca a sinistra, specie se quest’ultima è composta dai protagonisti di un Pse ormai indistinguibile dalla destra, almeno sulle grandi questioni, e pronto ad allearvisi di nuovo, evidentemente ignaro del disgusto che quest’accordo innaturale e controproducente suscita nei suoi elettori.

    Ci sarebbe la Spagna, il cui presidente del governo, Sánchez, oltre ad aver preso una posizione netta in merito alla carneficina in corso a Gaza, riconoscendo lo Stato di Palestina, ha anche varato un buon esecutivo, in grado di elaborare misure sociali che stanno tenendo lontano lo spettro dei franchismo di Vox dalla Moncloa. Peccato che questo partito continui a ottenere risultati importanti, a dimostrazione di quanto sia profondo il malessere delle democrazie occidentali.

    Infine l’Italia, l’epicentro del sisma. Meloni si consolida rispetto alle Politiche di due anni fa, Salvini trae giovamento dalla presenza in lista di Vannacci e il cosiddetto «campo progressista», ancora in costruzione, vede l’avanzata del Pd, il boom di Avs (effetto Salis) e la netta sconfitta del M5S.

    Fatto sta che le decisioni importanti vengono prese altrove. Quanto può resistere un’Europa che in politica estera, e non solo, è ridotta una condizione coloniale?

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