Si sono chiuse le urne in Cambogia. I risultati ufficiali si avranno solo l’11 agosto, ma sembra scontata la riconferma del Partito popolare cambogiano (Cpp) del premier Hun Sen, primo ministro dal 1985.
Le elezioni di domenica 29 luglio sono state le prime dopo lo scioglimento forzato nel 2017 della principale formazione di opposizione, il Partito di soccorso nazionale della Cambogia (Cnrp); il suo leader, Sam Rainsy, si trova in esilio volontario in Francia e ha definito “fasulla” la vittoria di Hu Sen.
“Per la prima volta in 25 anni, dalle elezioni organizzate dalle Nazioni Unite nel 1993, la Cambogia non ha un governo legittimo riconosciuto dalla comunità internazionale”, ha denunciato Rainsy.
Il voto si è svolto senza gli osservatori internazionali di Usa ed Ue, che non hanno mandato nessuna missione e si sono sempre più distanziati dall’uomo forte della Cambogia.
La campagna elettorale si è articolata nella totale assenza di un’opposizione credibile e sullo sfondo di una vasta azione di repressione del dissenso. Hu Sen, ex disertore del regime dei Khmer rossi andato al potere in un paese ancora scosso dalla guerra civile, ha fatto pressioni sulla società civile, i media indipendenti e i rivali politici creando un clima che, secondo analisti e gli attivisti dei diritti umani, non ha assicurato lo svolgimento di elezioni libere e trasparenti.
La Commissione elettorale nazionale ha fatto sapere che l’affluenza ai seggi è stata dell’82%, più alta di quella registrata nell’ultima consultazione popolare del 2013 (69%), un dato che, anche se discutibile, serve al premier per legittimare la sua vittoria dopo l’appello dell’opposizione a boicottare le urne.
Hu Sen ha puntato tutto su stabilità e crescita economica. “I connazionali hanno scelto il cammino democratico ed esercitato il loro diritto”, si legge sulla sua pagina ufficiale Facebook, mentre il portavoce del Cpp ha già previsto una grande vittoria.
Nelle ultime elezioni del 2013, Hun Sen aveva di poco sull’avversario San Rainsy del Partito del riscatto nazionale (CNRP). Da quel momento, Hun Sen ha sciolto il partito di opposizione e soppresso di fatto la libertà di stampa nel Paese.
Hun Sen senza rivali
Nella tornata elettorale appena conclusa, il Partito popolare della Cambogia, guidato da Hun Sen, non ha avuto rivali.
Oltre otto milioni di elettori avevano diritto al voto per eleggere i 125 deputati dell’Assemblea nazionale. Il principale partito di opposizione ha, però, chiesto i suoi sostenitori astenersi dal voto.
Anche se le figure chiave del CNRP sono in esilio, il leader del partito, Sam Rainsy, che vive a Parigi, e il deputato del CNRP Mu Sochua, a Berlino, hanno invitato gli elettori a boicottare le elezioni come unico modo per minare il potere di Hun Sen.
Il primo ministro ha contrattaccato e ha definito il boicottaggio “illegale”.
È dallo scorso ottobre che il Partito del riscatto nazionale non ha più peso nella politica del Paese. Nel 2013, sotto la guida di San Rainey, il aveva ottenuto il 44 per cento dei voti: 55 seggi in tutto.
I partiti farsa
Una ventina i partiti che hanno “sfidato” il leader al potere da oltre trent’anni, ma molti di questi non sono altro che forze di facciata, nate appositamente per far credere che in Cambogia ci sia ancora la possibilità di scegliere chi votare.
Il Paese si è trasformato progressivamente in un regime autoritario, ma l’accelerata è arrivata lo scorso novembre quando la Corte suprema ha annunciato lo scioglimento del Partito del riscatto nazionale (CNRP), principale partito politico del Paese.
Hun Sen si è sentito minacciato dai numeri conquistati dal partito di opposizione nella tornata elettorale del 2013. Infatti, la decisione della Corte è arrivata su precisa richiesta del governo, intenzionato a far fuori il PRNC.
L’accusa di complotto
L’accusa del governo al partito era quella di aver raggiunto accordi con “forze straniere” per rovesciare il governo del primo ministro in carica. Ad avallare la tesi di complotto, secondo il governo, un video del 2013 in cui si vedeva Kem Sokha, politico alla guida del PRNC, in Australia rivolgersi ai cambogiani lì residenti.
In quel video Kem Sokha avrebbe sostenuto di aver ricevuto consigli dagli Stati Uniti su come fare opposizione al governo guidato da Hun Sen.
Il partito del riscatto nazionale aveva rigettato le accuse di complotto e tradimento, ma la Corte aveva proceduto allo smantellamento dell’unica vera forza politica di opposizione.
I attivisti arrestati e quelli che scappano all’estero
Da quel momento è iniziato un periodo di persecuzione degli attivisti del CNRP. Alcuni sono stati arrestati, molti sono scappati dal Paese. In tanti hanno trovato rifugio nella vicina Thailandia.
Sul Guardian, Ky Wandara, per venti anni tesoriere del CNRP, ha raccontato gli ultimi dieci mesi di inferno. A ottobre, è stato costretto a lasciare il suo Paese e a scappare in Thailandia.
La maggior parte degli esiliati del CNRP rimane in Thailandia, ma non si sente comunque al sicuro. Infatti, questi attivisti si spostano in continuazione per evitare di essere scoperti e rispediti in Cambogia.
Sono oltre quattrocento gli agenti inviati da Hun Sen oltre il confine per rintracciare i dissidenti e monitorare i loro movimenti in Thailandia. Vivono da soli, come spiega, perché spostarsi in gruppo significa finire più facilmente nel radar di Hun Sen ed essere scoperti.
Ky Vandala, la testimonianza dell’ex tesoriere
“Tutti hanno paura che le autorità tailandesi o le spie di Hun Sen li trovino e li costringano a tornare in Cambogia”. Ky Vandara racconta la sua esperienza e quello che sta vivendo senza la paura di essere rimandato in Cambogia. Ha ottenuto, infatti, asilo politico in Nuova Zelanda, dove può vivere in sicurezza.
È scappato dal Paese quando ha saputo di essere finito nella lista dei 118 interdetti dal Paese per motivi politici.
Le elezioni appena concluse non sono altro che “una finzione, un disastro”, come ha detto al Guardian Mu Sochua, il vicepresidente del CNRP che vive anch’esso in esilio.
Senza alcuna legittima opposizione, la vittoria di Hun Sen è scontata. “Non c’è modo per gli elettori di esprimersi in queste elezioni – che vengono intimiditi e minacciati in continuazione – e non c’è nulla di legittimo in queste elezioni. Continueremo a chiedere agli elettori di boicottare le elezioni”.
L’organismo elettorale cambogiano ha recentemente dichiarato che i boicottaggi sono un “crimine”, mentre il capo della polizia ha detto che “la campagna delle dita pulite” – un riferimento all’assenza di inchiostro indelebile che gli elettori usano per segnare la loro pelle dopo aver votato – equivale a impedire alle persone di votare “e quindi” è illegale.
Il ministro degli interni Sar Kheng ha detto che gli elettori che hanno preso parte al boicottaggio potrebbero essere multati fino a cinquemila dollari.