Elezioni Argentina 2019, il ritorno del peronismo e la mediazione critica di Alberto Fernandez
Buenos Aires. “Dopo la crisi del 2001, mi sono trasferita in Costa Rica con la mia famiglia. Sono tornata a Buenos Aires quattro anni fa. La situazione non è cambiata molto da quei momenti difficili, anche se Mauricio Macri aveva promesso che il paese sarebbe ripartito. Ora faccio fatica ad arrivare a fine mese”. Lilian sta facendo la spesa in un piccolo supermercato nel quartiere centrale di San Telmo. Sceglie le verdure con cura e confronta i prezzi con le altre botteghe in via Carlos Calvo. “Ieri erano diversi. E non posso immaginare cosa succederà lunedì, dopo le elezioni. Non mi piace nessuno dei due candidati, né l’attuale presidente né Fernandez. Ma non posso dimenticare che con Macri nel paese è tornato il Fondo Monetario Internazionale”.
Quando nel 2015 l’ex presidente del Boca Juniors era stato eletto, il leader del centrodestra aveva promesso che l’economia sarebbe ripartita, che l’Argentina si sarebbe aperta ai mercati internazionali e che la miseria sarebbe stata eliminata. “Pobreza cero”, zero povertà, era stata la parola d’ordine ripetuta durante la campagna elettorale. Alla fine del 2019, secondo i dati dell’Indec, l’indice di povertà ha raggiunto il 35 per cento della popolazione. Oggi l’inflazione sfiora il 60 per cento, continua la svalutazione del peso e il debito estero è cresciuto del 79 per cento.
I poveri nel paese sarebbero 15,9 milioni, e gli indigenti 3,4 milioni, su una popolazione di 45 milioni di abitanti. Stando all’Indec, la povertà tra i minori di 15 anni è del 52,6 per cento. La disoccupazione è aumentata al 10,6 per cento. “Domani andrò a votare, ma non credo che sceglierò Juntos por el Cambio”, aggiunge Liliana.
Alberto Fernandez, il candidato della coalizione politica Frente de Todos insieme all’ex presidente Cristina Kirchner, è dato come favorito, separato da almeno venti punti percentuali dall’attuale capo dello Stato. Già alle primarie obbligatorie, tenutesi lo scorso 11 agosto, aveva ottenuto il 48,8 per cento dei consensi contro il 33 dell’ex sindaco di Buenos Aires.
L’elettorato, come sottolineano gli analisti, ha punito la politica economica di Macri che, nella campagna elettorale “Sì, se puede” organizzata nell’ultimo mese e mezzo, ha cercato di recuperare terreno attraverso una misura tipica dei governi del passato: ha imposto prezzi controllati a 60 prodotti di largo consumo per frenare l’inflazione. Un tentativo vano. La distanza non è stata annullata e Fernandez potrebbe farcela già al primo turno, per cui è sufficiente il 45 per cento o il 40 per cento con dieci punti di stacco sul secondo classificato. Altrimenti, il 24 novembre si andrà al ballottaggio.
Anche se non ha mai affrontato esplicitamente la questione, è probabile che Fernandez, una volta eletto, avvii un negoziato con il Fondo Monetario Internazionale per cercare di ristrutturare l’enorme debito di 57 miliardi di dollari che grava sul paese. Una questione che parla anche del rapporto tra il futuro presidente e Cristina Kirchner, fondamentale e polarizzante figura della coalizione politica insieme al suo gruppo La Campora, nato durante la presidente di Néstor e formato dalla Juventud Peronista e da molti familiari dei desaparecidos.
Gli economisti sostengono che il default potrebbe essere evitato con un piano di crescita stabile ma Frente de Todos non permetterebbe né un taglio alla spesa sociale né una riduzione della presenza dello Stato in economia, come invece avvenuto nell’epoca Macri. Fernandez si è mostrato un abile moderatore, esponente di un peronismo moderato e capace di contrattare. Kirchnerista critico, ha preso le distanze del figlio di Néstor, Maximo, braccio destro di Cristina. Inoltre, subito dopo le primarie, aveva affermato che per uscire dalla crisi si sarebbe parlato di un patto sociale tra imprenditori, movimenti sociali, sindacati e lavoratori.
“Preferisco Macri. Cristina ha lasciato un paese sull’orlo del disastro e lui ha provato a cambiarlo. Mi trasmette l’idea che, lavorando, si possono migliorare le proprie condizioni di vita”, dice Carlo, tassista peruviano ventiquattrenne che lavora e vive a Buenos Aires. “Ma la maggior parte degli argentini non la pensa come me come si capirà il giorno delle elezioni. Il peronismo non può essere cancellato dalla storia del paese. Torna sempre, è come un cerchio che si chiude”.