Non si vede la fine della moltitudine che riempie Avenida Corrientes, la strada che taglia Buenos Aires e porta al bunker di Alberto Fernández, neo eletto presidente dell’Argentina. “È incredibile. Guarda quante persone. Non ci credo. Sono emozionata”, dice a TPI Norma. È avvolta nella bandiera celeste e bianca e piange. Non è la sola ad avere gli occhi lucidi. Sotto lo schermo che proietta le immagini della piazza nel barrio Chacarita, si balla, ci si abbraccia, si applaude. Quando iniziano ad arrivare i primi risultati non ufficiali, i sondaggi “a boca de urna” che danno in vantaggio la coalizione Frente de Todos, l’euforia non si contiene.
“Che giorno memorabile. Dopo quattro anni, finalmente cambiamo. È tornata l’allegria”, racconta a TPI Samantha, che al collo tiene il panuelo verde di Ni Una Menos. Dice di essere una privilegiata perché, anche se il suo stipendio è diminuito, con la crisi economica ha continuato a lavorare come radiologa in una clinica privata. “Non ho mai dovuto risparmiare sul cibo, come invece hanno fatto molti altri. Vengo da una famiglia monoparentale della provincia di Buenos Aires. Mia madre tagliava dove poteva, e faceva qualunque lavoro per permettermi di andare all’università. Non posso dimenticarlo”.
Dopo il voto del 27 ottobre, l’Argentina torna peronista. Alberto Fernández ha sconfitto il presidente uscente Mauricio Macri, candidato di centrodestra per Juntos por El Cambio. Professore di diritto penale ed ex Capo di gabinetto del governo di Cristina Kirchner e di suo marito Néstor, ha ottenuto il 48,1 per cento dei voti contro il 40 per cento del principali oppositore. Solo nella provincia di Buenos Aires, la formula Fernández-Cristina Kirchner ha segnato sedici punti di vantaggio sul ticket Macri-Miguel Pichetto. Numeri che permettono di evitare il ballottaggio. Roberto Lavagna, a capo della coalizione Consenso Federal 2030, è il terzo candidato più votato con il 6,1 per cento dei consensi.
“Quello che conta è che gli argentini smettano di soffrire una volta per tutte”, ha affermato Fernández sul palco. Poco prima, era stato preceduto da Cristina, la candidata della coalizione come vice. “Costruiremo insieme l’Argentina democratica e solidale che sogniamo”, ha aggiunto non mancando di sottolineare che “i temi sono difficili”, ed è necessaria unità, per la ripresa. Da qui la promessa di collaborare anche con il presidente uscente al quale ha chiesto di aiutare a ricostruire il paese dalle “ceneri che ha lasciato”.
Macri paga gli effetti della grave situazione in cui l’Argentina è sprofondata: Pil in calo del 3,1 per cento e inflazione al 57,3 per cento. Il motto dell’ex presidente del Boca Juniors era stato “riportare l’Argentina nel mondo” ma il suo primo mandato si chiude con un netto peggioramento degli indicatori macro-economici che sono conseguenza, come dicono i critici, delle mancate riforme, la fuga di capitali e imprenditori: il tasso di povertà è cresciuto del 35 per cento, l’inflazione fino a settembre era quasi al 38 per cento mentre il peso ha perso il 70 per cento del suo valore dal gennaio 2018. I dati ufficiali parlano di una disoccupazione al 10 per cento, la più alta da dodici anni a questa parte.
Fernández, nella perfetta tradizione peronista, ha già annunciato un piano contro la povertà e la rinegoziazione del debito a partire dal maxi prestito di oltre 56 miliardi di dollari ottenuto dal Fondo Monetario Internazionale nei mesi scorsi. Si apre ora una delicata fase di transizione, che inizia il giorno dopo il voto con un incontro tra il nuovo eletto e il presidente uscente, e che vede la sua prima tappa il prossimo 10 dicembre, quando Fernández si insedierà ufficialmente alla Casa Rosada.
“Sono stati terribili questi quattro anni”, dice a TPI Norma, che vive nella provincia di Buenos Aires e fa la venditrice ambulante. “Con Macri non potevo vendere in strada nella capitale, con Cristina sì. E farlo era la mia sola entrata economica”. Nicolas è un commerciante trentenne e produce vino. “Oggi diciamo basta all’austerità”, dice a TPI.
Ora Fernández deve attivare un piano per tranquillizzare i mercati e contenere la fuga verso il dollaro e l’erosione delle riserve. Una strategia che, insieme, controlli il mercato delle valute e costruisca un patto sociale in grado di contenere i prezzi e difendere i salari. Ma il peronista moderato è un abile negoziatore e ha dato più volte prova della sua capacità di fare sedere tutti intorno a un tavolo.
“Che succederà con il dollaro? La domanda ce la stiamo facendo tutti”, dice a TPI Sergio, tassista. Il giorno dopo il ritorno alle urne, il presidente del Banco Central, Guido Sandleris, ha limitato l’acquisto di dollari a 100 al mese per quanto riguarda i contanti. “Nel 2015 ho votato Macri perché aveva promesso che avrebbe fatto ripartire il paese. Oggi ho scelto Fernández. Per riuscire a sopravvivere, devo lavorare quindici ore al giorno. Non vado in vacanza da quattro anni. Ma, almeno questa notte, mi faccio una bella dormita”.