Dopo la visita ufficiale in Sudan del presidente turco Recep Tayyip Erdogan dello scorso mese, le tensioni nella regione del Mar Rosso sono cresciute.
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Quella di Erdogan è stata la prima visita nel paese da parte di un capo di stato turco dal 1956, anno dell’indipendenza sudanese.
Secondo l’agenzia giornalistica di stato del Sudan i due paesi hanno concordato un’agenda strategica comune, dicendosi intenzionati a concludere un accordo militare.
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Uno degli accordi prevede la gestione temporanea da parte della Turchia dell’isola di Suakin, nel Mar Rosso.
L’isola, che oggi versa in stato di rovina ed è sostanzialmente disabitata, fino al XIX secolo rappresentava un’importante centro per il commercio locale.
La Turchia si è impegnata a ricostruire gli edifici distrutti per rendere Suakin una tappa turistica per i pellegrini in viaggio verso La Mecca.
L’accordo tra Sudan e Turchia è stato aspramente criticato dai media egiziani e arabi, secondo cui l’intenzione del governo di Ankara sarebbe quella di costruire sull’isola una base militare.
Da quando la Turchia ha condannato il rovesciamento del presidente egiziano Mohamed Morsi nel 2013, i rapporti tra i due paesi si sono molto raffreddati.
Un articolo dal titolo “Khartoum consegna Suakin ad Ankara…il Sudan in mani Turche” è stato pubblicato dal quotidiano saudita al-Okaz.
Nel testo si legge che “l’avidità della Turchia nel continente africano non sembra avere limiti”, con un chiaro riferimento alle mire del governo turco di costruire in Somalia la sua più grande base militare al di fuori dei propri confini.
A queste accuse ha replicato l’ambasciatore del Sudan in Arabia Saudita: “Suakin appartiene al Sudan, nessun altro”, assicurando che l’accordo con la Turchia non avrà ripercussioni sulla sicurezza dei paesi dell’area.
Per tutta risposta l’Egitto ha inviato alcune truppe in una base degli Emirati Arabi Uniti in Eritrea, al confine col Sudan.
Il capo del comitato tecnico dei confini del Sudan, Abdullah al-Sadiq, ha accusato l’Egitto di “trascinare il Sudan verso uno scontro diretto”.
Nei giorni successivi, Khartoum ha schierato migliaia di militari nell’area, chiudendo il proprio confine con l’Eritrea.
La questione dell’isola di Suakin riaccende il fuoco, mai sopito, delle tensioni nell’area del Mar Rosso.
Sudan ed Egitto si sono scambiati varie accuse per mesi, con Il Cairo che ha accusato Khartoum di appoggiare i Fratelli Musulmani, oppositori del governo di al-Sisi, alla quale il Sudan ha replicato incolpando l’Egitto di sostenere i dissidenti sudanesi.
In questo quadro va inserito anche il progetto che prevede la costruzione da parte dell’Etiopia della Grande Diga del Rinascimento Etiope (GERD), la più grande diga idroelettrica africana per il quale sono in corso negoziati tra Il Cairo e Addis Abeba. L’Egitto ritiene che la costruzione di questa struttura possa intaccare parte delle sue risorse idriche.
Il Cairo ha formalmente chiesto all’Etiopia di escludere il Sudan dal tavolo delle trattative sulla GERD, che sarebbe anch’esso toccato dalla costruzione dell’opera.
La scelta dell’Egitto di inviare le proprie truppe in Eritrea non ha placato le tensioni tra il governo del Cairo e l’Etiopia.
Per tutta risposta, infatti, Addis Abeba, che vanta il terzo esercito più numeroso dell’Africa, ha inviato delle truppe al confine con l’Eritrea, con cui si è scontrato in due sanguinose guerre per questioni legate ai confini.
L’Etiopia, inoltre, non intrattiene ottime relazioni con gli Emirati Arabi Uniti, che hanno rapporti molto stretti con l’Egitto e che hanno acquistato basi militari in Somalia ed Eritrea, confinanti con l’Etiopia, e nel vicino Yemen.
Questa situazione ha spinto Addis Abeba a velocizzare la costruzione della GERD, di cui è già stato completato il 60 per cento.
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