“Lo scorso 15 agosto ho compiuto 29 anni. Sono purtroppo anni appassiti come fiori. Per mia sfortuna gli anni della mia gioventù hanno coinciso con l’inverno della mia patria. I fiori della mia età appassiscono a causa delle mie molteplici disgrazie, portando alla distruzione dei miei sogni e delle mie speranze. Sulla soglia dei miei anni compiuti c’è ingiustizia e oppressione”.
Con queste parole si apre la lettera di Islam Khalil, adesso 29enne, prigioniero nel carcere egiziano e pubblicata in esclusiva da TPI.
“I giorni della prigionia si assomigliano e si alternano in una sequenza di disperazione e frustrazione. Ho passato tanti giorni della mia gioventù in prigione, durante i quali sono stato sottoposto a molte violazioni e ho assaporato ogni tipo di tortura. Ci sono giorni che sono impressi nella mia memoria e non possono essere cancellati. I giorni più rilevanti sono quelli del mio compleanno che hanno coinciso sempre, purtroppo, con la mia reclusione.
Il mio primo compleanno in prigione è stato quando ho compiuto 22 anni, all’interno del carcere militare di Ahmed Galal. Ho trascorso il giorno costretto a strisciare a pancia in giù sulla sabbia rovente come punizione imposta a tutti i detenuti del carcere. Poi ho passato tutta la giornata in piedi sotto il sole cocente. Tutt’ora non conosco il motivo per cui ci è stata imposta tale punizione.
Chi si lamentava o si opponeva veniva obbligato a strisciare nuovamente sulla sabbia. Ho terminato la giornata rinchiuso in una cella stretta e soffocato dalla puzza di urina e feci che fuoriusciva dal secchio e dalle bottiglie dove facevamo i nostri bisogni. Ho trascorso così il mio ventiduesimo compleanno. Uno dei giorni più malinconici e miserabili che ho trascorso dentro la prigione.
Il mio ventitreesimo compleanno l’ho passato dentro la prigione di Banha dove sono stato privato e denudato dei miei vestiti, ad eccezione delle mie mutande. Sono stato rinchiuso in una cella larga un metro e alta due, come se stessi all’interno di una trappola per topi o come fossi una scarafaggio rinchiuso in una scatola di fiammiferi messa in verticale.
Questa era la cella della mia rieducazione. Il mio cibo era un pezzo di pane e un piccolo pezzo di formaggio da farmi bastare per tutto il giorno, una bottiglia d’acqua e una bottiglia dove fare i miei bisogni. Gli odori letali, la cella stretta e l’assenza di fori da cui far fuoriuscire l’aria l’hanno resa una vera tomba. Ho passato il tempo cantando ad alta voce tutte le canzoni che conosco a memoria, sorridendo falsamente nella speranza che fosse l’ultimo giorno che avrei trascorso dentro la prigione.
Il mio ventiseiesimo compleanno è stato forse il peggiore. Quel giorno ero stato rinchiuso segretamente all’interno della sede dei servizi segreti. Avevo gli occhi bendati con una spessa benda nera e le mani legate dietro la schiena con una catena. Ero costretto a rimanere seduto per terra senza poter parlare o muovermi.
In questo luogo non esistono nomi ma numeri con i quali vieni chiamato. Devi dimenticare il tuo nome e memorizzare bene solo il numero che ti è stato assegnato. Se dimentichi il tuo numero dovrai subire le peggiori torture. Sono rimasto in queste condizioni tre mesi senza potermi lavare.
I segni di tortura sul mio corpo e sui corpi degli altri detenuti erano ben visibili. I nostri vestiti erano macchiati di sangue. Vivevamo in condizioni disumane, tra la puzza emanata dal sudore e dall’odore emanato dalle nostre ferite causate dalle torture che subivamo da mesi sui nostri corpi. Ognuno di noi attendeva il suo turno per essere torturato. Quel momento poteva arrivare in qualsiasi momento.
Tutti aspettavamo il momento in cui saremmo morti. La morte era sicuramente meglio di tutto ciò che stavamo subendo. Un giorno come punizione sono stato appeso per le mani per un’intera giornata per aver fatto una battuta ad un poliziotto. Il mio intento era far sorridere anche se per un secondo gli altri detenuti. Venni appeso dalle mani per un’intera giornata. Sentivo dolore in ogni parte del mio corpo ma la sensazione di aver violato una regola del carcere mi appagava.
Il ventisettesimo compleanno ero dentro il carcere di Borg elArab. Quel giorno c’era una protesta da parte dei detenuti e avevamo cominciato uno sciopero della fame. Venni portato nella cella della rieducazione, larga quattro metri e lunga quattordici con all’interno altri quattordici detenuti, con addosso solo una mutanda e un unico secchio dove fare i nostri bisogni. Dissi agli altri detenuti che quel giorno era il mio compleanno e chiesi ridendo se chi conosceva una canzone a memoria poteva cantarmela.
Le canzoni intonate, la puzza di urina e feci ammuffite dentro il secchio, la puzza di sudore, i nostri corpi marci in quel luogo angusto…ho avuto l’impressione di trovarmi in un carcere risalente al medioevo. Ho cominciato a ripetere a me stesso che avevo vissuto situazioni peggiori e che dovevo essere più forte.
Il mio ventinovesimo compleanno ero dentro la prigione del Cairo, all’interno del carcere di Torah in custodia cautelare. Iniziai uno sciopero della fame durato cinque giorni per le condizioni disumane nelle quale vivevo e per le maniere disumane con le quali venivo trattato. Come castigo mi portarono nella cella della “rieducazione”. Una cella vuota senza niente al suo interno, solo prigionieri dentro i loro vestiti e un muro dipinto con un deprimente color grigio. Il tetto della cella avevo l’impressione che mi sarebbe cascato in testa dal un momento all’altro. Il pavimento era nero come tutto lo sporco che aveva accumulato. La cella era piena di insetti di ogni tipo: insetti strani, scarafaggi e formiche. Molti insetti avevano forme strane. Mi hanno fatto pensare che fossero insetti estinti nel resto del mondo e presenti ormai solo all’interno della cella.
Ho trascorso il mio compleanno dentro questa cella, cantando, raccontando barzellette agli altri detenuti, uccidendo gli insetti e classificandoli come si fa con i detenuti. Ad esempio, l’insetto bianco è ancora sotto indagine, l’azzurro è stato condannato al carcere, l’insetto rosso è sicuramente un condannato alla pena di morte.
Queste brevi scene, questi cinque compleanni dentro il carcere, non sono le cose peggiori che ho attraversato. Ho subito cose peggiori.
Le celle sono piccole quanto due palmi di una mano ma la nostra patria rimane grande nei nostri sogni.
Abbiamo iniziato e continueremo la nostra marcia sulla via dell’amore, chiedendo giustizia, libertà e pace come uccelli liberi e speranzosi. Menzionate e cantate il nostro nome. Siate il nostro sole i cui raggi ci raggiungono per farci compagnia. Scrivete e parlate di noi. Siate la nostra voce azzittita con la forza. Chiedete a Dio, il cui nome significa pace e dono per l’umanità di sostenerci con il suo spirito”.
*Traduzione di Sara Ahmed