Gli Stati Uniti sono il secondo paese più inquinante al mondo dopo la Cina. Per questo la loro partecipazione all’accordo di Parigi contro il cambiamento climatico era ritenuta di cruciale importanza.
Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato tuttavia giovedì primo giugno 2017, che intende disporre il ritiro del paese dall’accordo sul clima cui si era giunti nel 2015 nell’ambito della conferenza sul clima di Parigi Cop21. Il documento era poi firmato nel 2016 da 190 paesi, inclusa la Cina.
Trump sostiene che la ragione della sua scelta sono i benefici impropri che alcuni paesi, tra cui Cina e India, otterrebbero rispetto agli Stati Uniti con questo accordo sul clima.
Ma cosa comporta per il resto del mondo la decisione di Trump?
La prima conseguenza è che sarà notevolmente più difficile per gli altri paesi raggiungere l’obiettivo ultimo dell’accordo di Parigi, cioè mantenere l’aumento della temperatura globale notevolmente al di sotto dei 2°C.
Gli Stati Uniti, infatti, contribuiscono per il 15 per cento alle emissioni globali di anidride carbonica, ma ricoprono anche un ruolo cruciale nel supporto finanziario e tecnologico ai paesi in via di sviluppo che tentano di lottare contro il surriscaldamento globale.
Gli effetti del ritiro degli Usa, inoltre, saranno di tipo diplomatico: l’accordo nasce da un asse sviluppatosi soprattutto tra Stati Uniti e Cina, che con l’aiuto dell’Unione europea e di altri stati hanno trovato sufficiente terreno comune per formare la “coalition of high ambition”, un’alleanza per raggiungere obiettivi condivisi.
Ora invece la Cina ha riaffermato il suo impegno a mantenere l’accordo di Parigi, così come l’Unione europea, e quindi la distanza dagli Stati Uniti si è ampliata. L’Unione europea ha rifiutato di rinegoziare gli accordi come auspicato dal presidente Trump e in questa situazione cresce il peso di Pechino negli accordi e lascia spazio maggiore a paesi come Canada e Messico nella lotta al surriscaldamento globale sul fronte americano.
Tuttavia, secondo quanto riporta la Bbc, la decisione di Trump è contestata anche internamente agli Stati Uniti, soprattutto da gruppi imprenditoriali come Google, Apple e centinaia di altre aziende, inclusi alcuni produttori di combustibili fossili come Exxon Mobil. Questi infatti si sono espressi favorevolvente verso l’accordo di Parigi.
Inoltre, è del tutto improbabile che si assista a un ritorno dell’utilizzo massiccio del carbone nel paese. Le emissioni statunitensi continueranno probabilmente a calare e secondo le previsioni la loro diminuzione sarà circa della metà rispetto a quanto stabilito da Barack Obama. Questo perché negli Stati Uniti l’energia è al momento offerta più dal gas che dal carbone e dopo la diffusione delle tecniche di fracking c’è stato un aumento nella produzione e un calo del prezzo del gas naturale.
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