Droni Usa Libia | Il presunto coinvolgimento dell’Italia
Droni Usa Libia – Sarebbero 550 gli attacchi effettuati dal 2011 dai droni statunitensi in Libia. Questa la cifra preoccupante denunciata dalla piattaforma d’informazione The Intercept nel giugno scorso.
I primi attacchi sono stati effettuati durante l’offensiva contro Gheddafi ad aprile 2011. A settembre 2012, dopo l’assassinio dell’ambasciatore Stevens a Bengasi, ci sono stati altri attacchi per eliminazioni mirate di terroristi. Mentre circa 300 attacchi a mezzo drone risalirebbero all’ operazione Odyssey Lighting, lanciata nell’estate 2016 per cacciare ISIS da Sirte.
C’è un caso però che sembra non rientrare in questo quadro, secondo una ricostruzione della no-profit Airwars. Il raid in questione risale al 29 novembre 2018 nei pressi di Al Uwaynat e ha provocato 11 morti. Il comando americano Africom sostiene che le vittime fossero militanti di Al-Qaeda, mentre fonti locali riportano la morte di un’intera comunità Tuareg che con il terrorismo non avrebbe nulla a che fare.
Droni Usa Libia | Vittime civili
Airwars si è messa in contatto con le famiglie delle vittime e ne ha ricostruito l’identità per verificare se fossero effettivamente dei civili. “Gli attacchi con i droni pongono un problema di profilo etico, risparmiano le vite di chi li gestisce ma non garantiscono che siano risparmiate vittime civili durante gli attacchi. Sono dei velivoli senza pilota, manovrati da una stazione in Nevada lontana dal conflitto”, afferma il professor Fabrizio Battistelli, presidente dell’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo (IRIAD), durante la conferenza internazionale sui droni armati tenutasi a Roma il 13 giugno.
Secondo Francesco Vignarca, di Rete Disarmo, risalire all’identità delle vittime degli attacchi è molto difficile: “C’è un’evidente carenza da parte dei governi europei a portare avanti effettive indagini su ogni sospetta violazione del diritto alla vita commessa in Libia”, fa notare.
Droni Usa Libia | L’utilizzo della base di Sigonella
Le organizzazioni italiane riunite da Rete Disarmo insieme al centro di giuristi Ecchr con sede a Berlino hanno inviato una lettera al Governo italiano a metà aprile, chiedendo chiarimenti sull’eventuale utilizzo della base di Sigonella per l’invio di droni statunitensi.
Sul legame di questi attacchi con Sigonella per il momento non è possibile sapere molto ma la questione ha suscitato l’attenzione dell’onorevole Laura Boldrini che il 31 maggio in commissione al Senato ha chiesto alla ministra Trenta se ci fosse già stata una verifica sul caso delle undici vittime in Libia.
Contattata da TPI, Boldrini ha confermato la sua preoccupazione: “Avevo già fatto richiesta di chiarimenti un mese fa al ministro degli Esteri, in quest’ultima audizione mi aspettavo che i ministri avessero già istruito una procedura di verifica ma di nuovo hanno detto di non avere informazioni”.
La reticenza sulla questione preoccupa la deputata, che dichiara di voler continuare ad indagare sulla vicenda. “Si parla tanto di sovranità, ma possibile che in un paese sovrano si debba apprendere dagli attivisti internazionali quello che succede nel nostro territorio? Servono dei controlli più rigorosi sull’utilizzo dei droni presenti a Sigonella”, chiede.
A questo punto sorge spontanea la domanda su chi ha il dovere di controllare. Il controllo delle operazioni statunitensi spetta formalmente al comandante italiano presente nella base. Sigonella è infatti sotto il comando italiano, ma una parte del sito è concessa in uso alle forze statunitensi. Si tratta in particolare della stazione aeronavale divisa nella sezione ad uso amministrativo e ricreativo Nas I e nella zona Nas II, dove si trovano i reparti militari operativi.
Nel 2006 è stato stipulato un accordo tra il Governo italiano e quello statunitense (Technical Arrangement) per stabilire le modalità di utilizzo delle installazioni di Sigonella.
Il comando italiano ha il controllo della base, mentre “il comandante Usa ha il pieno comando militare sul personale, gli equipaggiamenti e le operazioni statunitensi” con la restrizione di dover “notificare in anticipo al comandante italiano tutte le significative attività statunitensi”.
Di contro il comandante italiano ha l’onere di avvisare il suo corrispondente se ritiene che le attività statunitensi non rispettino la legge italiana e può anche intervenire per interromperle. Non è però solo il comandante italiano ad avere questa funzione di controllo.
Dopo lo scoop del Wall Street Journal del febbraio 2016 sull’invio dei droni statunitensi in Libia da parte dell’Italia, l’allora ministra della Difesa, Roberta Pinotti, assicurò che il Governo italiano era attentissimo su ognuna di queste operazioni e che l’autorizzazione all’uso dei droni veniva valutata caso per caso. Quale sia l’iter autorizzativo che regola questi casi resta ancora da chiarire.
Certo è che a Sigonella già a partire dal 2010 è stata autorizzata la presenza di tre droni statunitensi da osservazione Global Hawk, mentre tra la fine del 2012 e l’inizio del 2013 è stata concessa un’autorizzazione temporanea allo schieramento di 6 droni MQ-1 Predator o MQ-9 Reaper; velivoli da ricognizione e sorveglianza che possono eventualmente essere armati. I dati sono riportati da due report di studio condotti dall’Osservatorio di politica internazionale del CeSI nel 2013 e nel 2016.
In risposta alle domande dell’onorevole Boldrini, la ministra Trenta ha dichiarato che a Sigonella tutte le attività si svolgono nel rispetto della legge internazionale e si è riservata di ottenere una documentazione aggiornata sul caso.
Droni Usa Libia | Il precedente che conforta gli attivisti
Sicuramente l’organizzazione Ecchr non si lascerà scoraggiare tanto facilmente. Di recente ha ottenuto una vittoria proprio in Germania, dove ha difeso Faisal Ali Jaber, sopravvissuto alla sua famiglia dopo un attacco effettuato con i droni in Yemen nell’agosto 2012.
Faisal ha deciso di fare causa in Germania, perché dalla base tedesca di Ramstein passano le comunicazioni e i dati necessari alle catene decisionali per l’utilizzo dei droni in remoto.
Il 19 marzo l’alto tribunale amministrativo di Muenster ha dato ragione alla vittima e ha richiesto un maggior controllo da parte del Governo tedesco. Per ogni operazione con i droni in cui si usufruisca della base militare di Ramstein, il Governo dovrà verificare che il compimento di eventuali attacchi degli Stati Uniti in Yemen sia conforme alle norme di diritto internazionale.
Forti di questa vittoria, gli avvocati del centro di Berlino e gli attivisti di Rete Disarmo sono pronti a puntare il dito contro l’Italia.