Per Draghi Erdogan è un dittatore “di cui abbiamo bisogno”. Sì, per tenersi i migranti che non vogliamo
“Il culmine dell’ipocrisia”. È stato il commento di Omer Celik, portavoce del partito del Partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp), al governo in Turchia, alle parole del presidente del Consiglio Mario Draghi che ieri definito il presidente turco Recep Tayyip Erdogan un dittatore “di cui si ha bisogno”, criticandolo per “l’umiliazione” subita dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e scatenando un caso diplomatico. “Chiamano spudoratamente il nostro presidente un ‘dittatore’. Poi aggiungono: ‘ma dovremmo collaborare con Erdogan sulla questione degli immigrati’”, ha detto il portavoce dell’Akp, a cui appartiene Erdogan.
Negli ultimi anni i paesi europei hanno ripetutamente condannato la Turchia per la repressione di oppositori e curdi, la campagna di arresti di massa dopo il tentativo di colpo di stato del 2016 e le provocazioni nel Mediterraneo orientale, con l’invio di navi in acque cipriote e greche per contendere il controllo di riserve di gas. A marzo Erdogan era stato duramente criticato dall’UE per aver ritirato la Turchia dalla Convenzione di Istanbul sulla violenza contro le donne.
Tuttavia, l’Unione continua a considerare la Turchia un “partner strategico chiave” in ambiti come la sicurezza, l’antiterrorismo e l’immigrazione. Il 18 marzo 2016 uno storico accordo ha stabilito il ritorno in Turchia di “tutti i nuovi migranti irregolari in viaggio dalla Turchia verso le isole greche”, in cambio di fondi per 6 miliardi di euro, terminati di sborsare lo scorso dicembre. La Turchia ospita 4 milioni di rifugiati, inclusi 3,6 milioni di rifugiati siriani, più di qualsiasi altro paese al mondo.
Una nuova intesa sui migranti è stata al centro dell’incontro ufficiale di martedì 6 aprile tra Erdogan, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel e von der Leyen, che ha dato vita caso presto diventato virale come “Sofagate”. La presidente della Commissione europea ha affermato che l’accordo “rimane valido e ha portato risultati positivi”. Inoltre ha chiesto che la Turchia mantenga i suoi impegni e continui impedire la partenza di persone che intendono entrare in Grecia senza permesso, dopo che l’anno scorso Ankara aveva minacciato di riaprire le frontiere.
L’accordo è stato raggiunto dopo che nel 2015 più di milione di migranti erano entrati in Europa, molti dei quali fuggivano dal conflitto in Siria. Negli anni successivi ha portato a un drastico calo degli arrivi, solo 10mila nel 2020 a causa anche della pandemia. Allo stesso tempo, secondo Amnesty International, ha costretto decine di migliaia di persone costrette a rimanere in condizioni “disumane” sulle isole greche e ha esposto rifugiati e richiedenti asilo al rischio di rimanere in un paese “non sicuro” come la Turchia, accusata di avere anche rimpatriato persone in Siria.
“Assicurare gli interessi del paese”
Durante la conferenza stampa dell’8 aprile, Draghi ha spiegato il suo approccio con i “dittatori” come improntato alla cooperazione più che alla collaborazione “per assicurare gli interessi del proprio paese”. Inoltre Draghi ha detto che è necessario esprimere in maniera franca “la propria diversità di vedute, di opinioni di comportamenti di visioni della società”, trovando l’equilibrio giusto.
Un atteggiamento in ambito umanitario che era già stato criticato quando il 6 aprile in Libia, durante la sua prima visita ufficiale all’estero, aveva espresso “soddisfazione per quello che la Libia fa per i salvataggi” dei migranti in mare. Nella conferenza stampa di ieri, Draghi ha chiarito che l’Italia è orientata “al superamento dei centri di detenzione”.
Secondo Eve Geddie, direttrice dell’ufficio UE di Amnesty International, l’accordo UE-Turchia e “la sconsiderata cooperazione dell’UE con la Libia non possono essere il modello per futuri accordi sulla migrazione con altri paesi” definendo l’accordo come “corrosivo” per la situazione dei diritti umani dell’UE e denunciando la volontà dell’UE di concludere accordi “per limitare la migrazione basata esclusivamente sulla convenienza politica con poco riguardo per l’inevitabile costo umano”.
I campi nelle isole greche
A cinque anni dalla firma dell’accordo, afferma Amnesty, 15.000 persone risultano ancora confinate nei campi sovraffollati sulle isole greche, dove molti sono costretti a dormire in tende e in alcuni casi hanno perso la vita per il freddo e le condizioni a cui sono esposti. Secondo l’ong Intersos da quando è stato firmato, l’accordo non ha fatto altro che “intrappolare le persone in un’attesa infinita, privandole della dignità umana fondamentale e costringendole a rivivere gli stessi traumi”.
Uno dei luoghi diventati un simbolo per il fallimento delle politiche europee sui migranti è stato il campo di Moria, sull’isola di Lesbo, che prima di essere stato distrutto da un incendio lo scorso settembre ospitava 12mila persone, rispetto alle 3mila per cui era stato costruito. Dopo l’incendio, i residenti sono stati trasferiti in un campo provvisorio, trovandosi in condizioni descritte come ancora più difficili, con scarso accesso ad acqua o a servizi sanitari di base.
La scorsa settimana l’UE ha annunciato che erogherà fondi per 250 milioni di euro per costruire nuovi campi profughi nelle isole di Lesbo, Samo, Chio, Coo e Lero. Il ministro greco dell’Immigrazione, Notis Mitarachi, ha dichiarato che non saranno usati per costruire una “nuova Moria”.
3. Bartolo a TPI: “Come può Draghi ringraziare la Libia per i salvataggi dei migranti? Sono deluso”