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    Le donne che in India salvano i villaggi dalla povertà

    Attraverso i cosiddetti self-help group, le donne ottengono micro prestiti per lanciare un proprio business, come segno di emancipazione

    Di Pamela Schirru
    Pubblicato il 24 Feb. 2016 alle 15:23 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 23:21

    Shantha è nata e cresciuta in una delle zone rurali più povere a sud dell’India. Non ha potuto frequentare la scuola, costretta pertanto a vivere un’esistenza senza saper né leggere né scrivere. Dopo il matrimonio le condizioni di vita non sono affatto migliorate. Con due figli a carico far quadrare i conti era diventato sempre più difficile. 

    Oggi, Shantha ha 53 anni, vive in una casa di cemento dotata di numerosi comfort, rispetto alle abitazioni in mattoni e argilla del villaggio in cui abita. Può vedere la televisione, può azionare il suo ventilatore quando l’afa estiva non lascia tregua, può dormire su un letto e può cucinare su un vero fornello. Non solo. Uno dei suoi figli lavora come ingegnere, una delle carriere più rispettate nella società indiana tradizionale. 

    Dai confini di una delle zone più conservatrici dell’India, dove le donne generalmente si occupano della casa e della famiglia, Shantha rappresenta l’eccezione. Il suo incredibile viaggio, dalla condizione di povertà estrema al successo, inizia a piccoli passi. 

    La donna aveva prestato lavoro volontario presso un ufficio del governo locale. Qui ebbe modo di venire in contatto con una rete di dipendenti pubblici e uomini d’affari. Nel frattempo, Shantha impiegata a tempo pieno non percepiva alcuno stipendio. Poteva usufruire solo del biglietto dell’autobus sovvenzionato dall’ufficio. Ma la speranza di migliori opportunità future non l’aveva mai abbandonata. 

    Un giorno, presso l’ufficio governativo dove la donna era impiegata, si discuteva di un nuovo progetto rivolto alle donne. Si trattava del cosiddetto “self-help group”, ossia i micro prestiti concessi dalle banche alle piccole attività. Nello specifico, ogni membro del gruppo che aderisce s’impegna a investire una pari quantità di denaro, che viene poi erogato dalle banche. 

    Il gruppo presenta progetti di business alla banca e, se approvati, ricevono dei fondi per poter costruire la propria impresa che dovrà generare dei margini di guadagno attraverso i quali rimborsare il prestito ottenuto nel corso del tempo, con tassi d’interesse molto bassi. “Io ero l’unica entusiasta e sapevo che l’unico modo che avevo per poterne usufruire era coinvolgere le donne del mio villaggio”. 

    Per poter costituire il gruppo, Shantha aveva bisogno di 20 donne che contribuissero con 10 rupie a testa, per avviare il gruppo. La maggior parte delle donne che vivono nel villaggio sono povere, pertanto non è stato semplice convincerle. Ci sono voluti due anni di persuasione per convincerle a partecipare. 

    Questo era solo l’inizio della difficoltà che Shantha si era trovata davanti. Doveva aprire un conto bancario, in modo da disporre di un fondo per qualificarsi per il prestito “self-help”. Ma la banca non l’avrebbe presa sul serio perché era una donna. Dopo sei mesi di tentativi, si è rivolta ai suoi colleghi per chiedere un supporto. 

    (Le donne si costituiscono in piccolo gruppi per aiutare i loro villaggi a sviluppare un’economia globale. L’articolo continua qui sotto) 

    Una settimana più tardi Shantha era riuscita ad aprire un conto in banca e aveva costituito il suo gruppo di micro prestito necessario per finanziare il suo primo business: l’acquisto di mucche per vendere latte.

    Il desiderio di migliorare le condizioni di vita ha poi spinto la donna, nel 2009, a rilevare una piccola fabbrica che produce borse, cogliendo al volo l’opportunità di un lavoro stabile per sé e per le donne del suo villaggio e contribuendo a migliorare le loro condizioni di vita. Oggi sono 26 le donne che lavorano nella sua azienda. 

    Con i primi guadagni, Shantha ha offerto ai suoi figli una vita più dignitosa. Uno di loro è riuscito a frequentare il college e diventare un ingegnere. Come lei, altre donne hanno contribuito al reddito familiare e sono sfuggite a situazioni pericolose o da mariti che le picchiavano o le violentavano. 

    (Qui sotto Shantha impegnata nell’imbastitura del pellame per la realizzazione delle borse)

    Le donne in India devono affrontare innumerevoli sfide per l’emancipazione. Solo il 59 per cento di coloro che vivono nelle aree rurali del paese sanno leggere o scrivere, secondo uno studio effettuato da Catalyst nel 2014. Mentre il 62 per cento delle donne in India percepiscono un salario più basso rispetto alla retribuzione prevista per un uomo per svolgere il medesimo lavoro. 

    In alcune zone rurali dell’India ci sono alcune organizzazioni no profit impegnate nel fornire supporto alle piccole attività gestite da donne. Tra queste figura l’associazione indiana Pradan, che da oltre 30 anni offre assistenza professionale alle micro imprese al femminile, attraverso l’organizzazione di corsi base di gestione aziendale allo scopo di rafforzare le comunità rurali più povere. 

    L’associazione ha fornito a molte donne dei supporti tecnologici per poter gestire il proprio business.“Quando una donna decide di cambiare vita, scala una montagna, porta a lavoro con sé un bambino in grembo e ora porta in mano anche un tablet, mediante il quale poter gestire tutto”, ha raccontato un membro dello staff dell’organizzazione non governativa.

    Nei villaggi ad alta densità di popolazione, le donne nonostante non abbiano un alto grado di scolarizzazione, usano i tablet per controllare o registrare le attività finanziarie dei loro gruppi “self-help”. 

    L’iniziativa sta tentando di portare un cambiamento nella società aiutando le donne delle aree più povere dell’India ad acquisire nuove competenze e capacità, permettendo loro di creare ulteriori opportunità di cambiamento e sostentamento. 

    (Qui sotto alcune donne cercano di capire come si usa un tablet) 

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