Da circa una settimana Jeanette Vizguerra vive nel seminterrato della chiesa First Unitarian Society di Denver, nello stato del Colorado, per evitare di essere rispedita nel suo paese d’origine, il Messico.
Sprovvista di documenti regolari, la donna rappresenta uno dei milioni di immigrati irregolari che rischiano l’espulsione dagli Stati Uniti, dopo il decreto introdotto dal neo presidente Donald Trump.
Madre di quattro figli, di cui tre di età compresa fra i 6 e i 10 anni nati negli Stati Uniti e una di 26 anni arrivata nel paese all’età di sei anni, che ha ottenuto un permesso di lavoro grazie al programma dell’amministrazione Obama, il Deferred Action for Childhood Arrivals.
La famiglia scelse di stabilirsi a Denver nel 1997.
Qui Jeanette si era rifatta una vita, nonostante la sua condizione di immigrata irregolare a rischio espulsione. Proprio per questa ragione, negli ultimi anni, la donna aveva preso a cuore i diritti dei lavoratori privi di documenti e aveva lottato con loro.
Si era impegnata a fondo nel supportare la causa di queste persone, aiutandoli a cercare una sistemazione adeguata e facendo sì che non venissero espulsi. Una volta, come lei stessa ha raccontato, prese a cuore la vicenda di un uomo residente a Denver, il quale rischiava di essere rispedito nel suo paese.
La donna aveva mobilitato la comunità intera e si era impegnata a trovargli un rifugio all’interno di una chiesa, considerata un luogo neutrale dove nemmeno le autorità sarebbero potute intervenire.
Questo succedeva due anni fa.
Ora è lei a rischiare l’espulsione dal paese perché ritenuta irregolare e priva di documenti. Non poteva certamente immaginare che quel letto allestito nel seminterrato della chiesa sarebbe servito a lei, a pochi anni di distanza.
Tutto ciò è accaduto dopo l’ultima richiesta presentata di recente dall’avvocato della donna al servizio d’immigrazione nazionale, per richiedere di prolungare il suo soggiorno nel paese: la risposta non si è fatta attendere, ma non è stata quella paventata.
A Jeanette non è stato concesso alcun permesso di soggiorno e su di lei pesa ora un ordine di espulsione. “È un’altra sfida che la vita mi pone davanti. Non avrei mai pensato di trovarmi nella stessa situazione delle persone e delle famiglie che io stessa ho aiutato”, ha raccontato la donna raggiunta al telefono nella chiesa metodista dove si è rifugiata.
“Da qui continuerò la mia battaglia, perché so che ci sono molte persone là fuori che sono disposte a sostenermi e a combattere con me”, ha raccontato tra le lacrime la donna, mentre stringe a sé in suoi tre figli rispettivamente di 6,10 e 12 anni.
Il caso di Jeanette ricorda quello di un’altra messicana, Guadalupe Garcia, diventata il simbolo della nuova politica d’immigrazione del presidente Trump, espulsa all’inizio di febbraio dal paese nel quale aveva trascorso due decenni della sua vita.
La retorica di Trump contro gli immigrati ha dato immediatamente i suoi frutti: nei suoi primi giorni di presidenza, il neo inquilino della Casa Bianca ha firmato diversi decreti anti-immigrazione, compreso il famigerato Muslim Ban, che impone il divieto a rifugiati, profughi e semplici cittadini provenienti da sette paese del Medio Oriente, di entrare nel paese.
Come se non bastasse, la settimana scorsa, le autorità dell’Immigration and Customs Enforcement (ICE) per la sicurezza nazionale hanno spiccato un mandato d’arresto per oltre 680 immigrati in California, in Kansas e nella Carolina del Sud.
La decisione di procedere con l’espulsione di Jeanette Vizguerra ha mobilitato la comunità di Denver, mentre l’avvocato difensore che ha trattato il suo caso negli ultimi quattro anni, ha definito la sospensione del soggiorno come un “atto ripugnante”.
“Jeanette è madre di tre figli nati in America e quindi cittadini americani a tutti gli effetti. Ha vissuto nella comunità di Denver per due decenni. Si è dedicata con fervore alla lotta per i diritti degli altri ed è anche sopravvissuta a soprusi violenti, ed era in attesa di ottenere il visto. Il fatto che l’Ice le abbia negato il permesso di soggiorno è un fatto gravissimo”, ha ribadito l’avvocato della donna.
Jeanette Vizguerra ha alle spalle una complessa storia d’immigrazione. Fu il marito a decidere di lasciare Città del Messico agli inizi degli anni Novanta, trasferendosi negli Stati Uniti, più precisamente a Denver.
La coppia arrivò nella città statunitense con in braccio la loro primogenita che all’epoca aveva appena sei anni.
Nel 2009, la donna venne fermata dalla polizia per aver commesso un’infrazione del codice della strada. Fu proprio in questa circostanza che iniziarono a sorgere i primi problemi legati alla sua condizione di immigrata irregolare.
Jeanette non possedeva documenti regolari (compresa la patente di guida) e mostrò pertanto agli agenti una tessera falsa. Dopo tutti gli accertamenti le autorità scoprirono non solo che la patente era falsa, ma che il suo numero di previdenza sociale era inesistente.
Tutto ciò le costò un processo e la candidatura a un ordine di espulsione varato nel 2011 dalle autorità competenti, sotto l’allora amministrazione Obama.
Tuttavia, il servizio d’immigrazione statunitense sospese l’ordine di espulsione. Nel frattempo, Jeanette fu costretta a far rientro in Messico, per assistere la madre morente. Non ebbe nemmeno il tempo di arrivare nel suo paese d’origine, poiché la madre si spense prima, mentre lei era ancora in volo sull’aereo per casa.
Dopo la morte di sua madre, Vizguerra pensò di stabilizzarsi in Messico, lavorare e racimolare soldi per aiutare i suoi figli. Ma la situazione economica precaria la spinse ancora una volta a valutare di tornare in America. L’unico modo per sfuggire alla povertà era attraversare il deserto, dove venne poi arrestata dalla polizia di frontiera.
Tornò libera in seguito a una forte pressione e alle proteste dei residenti di Denver che avevano avuto modo di conoscerla, mentre il suo ordine di espulsione venne ancora una volta temporaneamente sospeso.
Stavolta le cose sono andate diversamente. Il divieto di espulsione per Jeanette Vizguerra è scaduto il 7 febbraio scorso e non è stato rinnovato il suo permesso di soggiorno. La donna ha deciso così di rifugiarsi in chiesa.
Ha preparato una valigia con i suoi vestiti, ha riempito il congelatore con i piatti da scaldare al microonde per marito e bambini, e si è barricata nello scantinato della struttura, per sfuggire alla deportazione.
Le chiese, infatti, sono considerate ‘luoghi sensibili’, santuari dove gli agenti dell’immigrazione non entrano a meno che non vi siano circostanze urgenti che richiedono un’azione immediata. La 45enne vive in una stanza con due letti, una lampada appoggiata su una scatola di cartone, e un biglietto di San Valentino dalla sua bimba più piccola.
“Potrei dover stare qui giorni, mesi, forse anni, ma non smetto di lottare”, ha detto Vizguerra parlando al telefono con i sostenitori.
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