“Djokovic può tornare in Serbia a testa alta e guardare tutti negli occhi”, ha commentato così il decreto di espulsione dell’atleta dall’Australia il presidente serbo Aleksandar Vucic, il quale negli 11 giorni di saga sportiva e diplomatica che ha riguardato il numero uno del tennis mondiale ha sempre difeso colui che è visto in patria come un eroe nazionale. E che adesso, secondo Vucic, sarebbe stato trattato dal governo di Canberra alla stregua di un “assassino seriale”. Nei giorni scorsi a Belgrado migliaia di persone avevano manifestato contro la decisione di espellerlo presa dal governo australiano, chiedendo che Djokovic restasse a Melbourne per disputare il primo turno del Grande Slam e accusando le autorità del Paese di star limitando deliberatamente e ingiustamente la libertà del loro connazionale.
Ma non c’è stato nulla da fare: la Corte federale ha confermato la decisione di annullare il visto del tennista sulla base delle irregolarità relative al vaccino (il campione, che si era distinto in passato per le sue posizioni No-Vax, non è vaccinato, e nel Paese chi non ha ricevuto due dosi non può entrare), respingendo la richiesta di appello dei legali di Djokovic. Così il tennista, che proprio oggi avrebbe dovuto essere il protagonista del match di apertura degli Australian Open, non difenderà il suo titolo: ha lasciato l’Australia domenica 16 gennaio ed è atterrato nella mattina di oggi a Dubai insieme ai suoi allenatori. Non ha fatto sapere quale sarà la sua destinazione finale del viaggio.
“Accolgo con favore la decisione unanime di oggi della Corte federale completa dell’Australia, che conferma la mia decisione di esercitare il mio potere ai sensi del Migration Act per annullare il visto di Novak Djokovic nell’interesse pubblico”, ha affermato ieri il ministro per l’Immigrazione Alex Hawke. “Le forti politiche di protezione delle frontiere australiane ci hanno tenuti al sicuro durante la pandemia, determinando uno dei tassi di mortalità più bassi, i più forti recuperi economici e i tassi di vaccinazione più alti al mondo. Politiche forti di protezione delle frontiere sono fondamentali anche per salvaguardare la coesione sociale dell’Australia, che continua a rafforzarsi nonostante la pandemia”.