Inizia il conto alla rovescia per l’uscita dal Regno Unito dall’Unione europea. Scattano i due anni in cui, accordo o non accordo di uscita, il 29 marzo 2019 il Regno Unito non sarà più uno Stato dell’Unione, a meno che i 27 non votino a favore di un prolungamento dei termini.
— Questa notizia puoi leggerla direttamente sul tuo Messenger di Facebook. Ecco come
L’Ue, con il blocco dei restanti 27, dovrà a sua volta scontrarsi non solo nelle trattative con il Regno Unito ma, più in generale, con le diverse posizioni dei singoli stati che compongono l’Unione.
Per dirla in maniera chiara, per la Ue non sarà comunque una passeggiata poter riuscire a parlare con una sola voce che sia rappresentativa di tutti nei confronti del Regno Unito. Ogni Stato ha infatti una visione di quali dovranno essere i termini del divorzio con Londra.
Stati che godono di ottimi rapporti diplomatici con il Regno Unito e di traffici commerciali fruttuosi avranno posizioni diverse. A prescindere da questo, secondo uno studio dell’Economist, fra gli Stati che manterranno il “muso duro” si possono annoverare in primis Francia, Germania e Belgio, sede delle più importanti istituzioni europee.
Gli spagnoli invece, vorrebbero utilizzare molto velatamente (ma neppure troppo) Gibilterra come pedina di scambio, cosa già esclusa a priori da Londra. Gibilterra è parte del Regno Unito, come territorio d’oltremare, dal Trattato di Utrecht del 1713.
In una posizione intermedia sta l’Italia, insieme a Portogallo e Grecia.
Più propensi ad un’approccio “permissivo” nei confronti di Londra appaiono invece gli irlandesi, divisi rigorosamente e con orgoglio da Londra, ma fortemente legati per storia, lingua e altissimi scambi commerciali, aiutati certamente dalla posizione geografica.
Un’interessante gruppo che invece con il Regno Unito vorrebbe mantenere ottimi legami è quello composto dai paesi baltici. Estonia, Lituania e Lettonia contano molto su un legame diplomatico con Londra perché è il migliore alleato degli Usa e ha una grandissima influenza all’interno della Nato.
Gli stati baltici mai come negli ultimi tempi sentono il respiro della Russia sempre più vicino. Il Regno Unito è infatti uno dei pochi paesi che rispetta la soglia minima del 2 per cento di Pil in spese militari, come stabilito al vertice Nato del 2014 in Galles.
Discorso a parte va fatto per la Polonia che, oltre che per la vicina e pesante presenza russa, ha bisogno di tenere buoni legami con Londra per via dell’altissimo numero di suoi cittadini che risiedono nel Regno Unito.
In questo contesto, va ricordato anche il fattore tempo. In Francia ci saranno le elezioni a breve. In Germania saranno a settembre e un nuovo governo, quale che sia, avrà bisogno di ulteriore tempo per l’insediamento.
A prescindere da chi siano i nuovi capi di governo vincitori, in questi paesi interessati ci si concentrerà di più sulla politica elettorale interna, con la faccenda “Brexit” che potrebbe essere messa a margine sino a quando non si saprà con certezza chi saranno i due vincitori politici di Francia e Germania, gli Stati hanno maggiore influenza politica nel blocco europeo.
Infine, se un accordo verrà raggiunto dalla Commissione europea e dal suo capo-negoziatore Michel Barnier, questo dovrà essere ratificato dal Parlamento europeo, che nonostante non abbia un ruolo “vincolante” nella stanza dei negoziati, ha potere di veto sull’accordo finale.
Anche la Corte di giustizia europea potrebbe essere interpellata per valutare se l’accordo raggiunto sia conforme alle leggi europee.
L’Europa avrà quindi posizioni eterogenee sul risultato che vorrà raggiungere con la Brexit. Arrivare a parlare con una voce sola, non sarà una passeggiata.
— Non restare fuori dal mondo. Iscriviti qui alla newsletter di TPI e ricevi ogni sera i fatti essenziali della giornata
Leggi l'articolo originale su TPI.it