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    Perché la direttiva Ue sul copyright potrebbe significare la morte di Internet come lo conosciamo

    Credits: @doctorow, Twitter.

    Il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani l'ha definitva "una vittoria per tutti i cittadini", ma in tantissimi sulla Rete sono contrari

    Di Viola Stefanello
    Pubblicato il 13 Set. 2018 alle 10:58 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 01:32

    Il 12 settembre 2018 il parlamento dell’Unione Europea, riunito a Strasburgo, ha votato a favore della nuova direttiva europea sul copyright, necessaria per cominciare i negoziati con il Consiglio europeo.

    Passata con 438 voti a favore, 226 contrari e 39 astensioni, la direttiva apre la strada a negoziati con il Consiglio e la Commissione per giungere a una versione definitiva della riforma. La votazione finale è prevista per il gennaio 2019.

    Dopo l’approvazione del Parlamento Ue, toccherà agli Stati membri mettere in atto la direttiva, recependo direttamente il suo contenuto con una legge nazionale.

    Alcuni, come il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, difendono a spada tratta la nuova direttiva.

    “La direttiva sul diritto d’autore è una vittoria per tutti i cittadini. Oggi il Parlamento europeo ha scelto di difendere la cultura e la creatività europea e italiana, mettendo fine al far-west digitale”, ha commentato su Twitter Tajani.

    [Cosa prevede la direttiva sul Copyright approvata il 12 settembre dal Parlamento Ue]

    Allo stesso modo gioiscono, con ogni probabilità, quei musicisti, artisti, interpreti e sceneggiatori,  editori e giornalisti che saranno remunerati quando il loro lavoro è utilizzato da piattaforme di condivisione come YouTube o Facebook e aggregatori di notizie come Google News.

    Perché sul web in molti sono contrari alla riforma europea del diritto d’autore

    Ma altri da mesi si oppongono alla riforma, e in particolare a due articoli, l’articolo 11l’articolo 13, particolarmente controversi.


    L’articolo 11, rinominato dai detrattori “link tax”, rappresenterebbe una garanzia di “consono compenso” per chi crea contenuti.

    Infatti, secondo l’articolo, per avere il diritto di utilizzare anche un minimo frammento di un articolo online si deve possedere una licenza. Di conseguenza, per esempio, anche solo usare il titolo completo di un articolo come testo di un link per citare e rimandare all’articolo stesso non sarà permesso senza licenza.

    L’articolo 13, invece, costringe piattaforme di sharing come YouTube e Facebook ad adottare cosiddetti “upload filter” molto stringenti: in parole povere, degli strumenti che filtrano automaticamente quanto caricato dagli utenti sulla propria piattaforma per assicurarsi che i loro contenuti non infrangano la direttiva sul copyright.

    La versione della direttiva europea sul copyright passata al Parlamento europeo il 12 settembre elenca delle eccezioni a questo articolo.

    Sono esentate dall’articolo 12 enciclopedie online come Wikipedia, che a luglio aveva protestato contro la riforma oscurando tutte le proprie pagine in Italia, le piccole e medie imprese e i siti open source come GitHub o le attività senza scopo di lucro.

    La Federazione Italiana Editori Giornali, inoltre, ha assicurato che sotto la nuova direttiva “verrà garantita la possibilità per gli utenti della Rete di essere attori partecipi dei social network, produrre blog, condividere opinioni, foto e link”.

    Questa è già una novità rispetto alla riforma bocciata il 5 luglio, ma restano in molti – tra cui accademici e attivisti per i diritti umani – a esprimere perplessità.

    I ricercatori del centro di ricerca britannico CREATe e dell’associazione European Policy for Intellectual Property (EPIP) per esempio, si sono spesi molto contro la direttiva, sottolineando l’enorme ruolo giocato dalle lobby nella sua approvazione e consigliando svariati emendamenti.

    Chi verrà danneggiato dalla nuova riforma europea del diritto d’autore?

    Una lunga lista di esperti tra cui il fondatore del World Wide Web Tim Berners-Lee e il pioniere di Internet Vint Cerf, hanno scritto una lettera aperta a Tajani.

    Descrivendo l’articolo 13 come “un pericolo per il futuro di questo network globale”, gli esperti hanno mostrato come obbligare grandi piattaforme a usare filtri automatici, spesso ingiusti e imperfetti, non sia certo il modo di distribuire giustamente i ricavati del lavoro online.

    “L’articolo 12 fa un passo senza precedenti verso la trasformazione di Internet da una piattaforma aperta alla condivisione e all’innovazione in uno strumento per la sorveglianza automatica e il controllo dei suoi utenti”, hanno scritto.

    Hanno poi ricordato che, secondo la direttiva europea sull’e-Commerce, sono i singoli utenti ad essere responsabili della legalità dei propri contenuti.

    Spostando invece questa responsabilità sulle piattaforme online, la combinazione dell’articolo 11 e dell’articolo 13 va a rappresentare un costo praticamente insostenibile soprattutto per le start-up che vogliano provare a diventare le nuove Facebook o YouTube, cementando di fatto ancora di più il monopolio del web in mano alle enormi aziende della Silicon Valley.

    Infatti, un filtro che risponda a quanto richiesto dall’articolo 13 della nuova riforma non può che costare milioni di euro: basti pensare che lo strumento Content ID di YouTube, che svolge solo fino a un certo punto il lavoro necessario a sottostare alla nuova direttiva europea, è costato 60 milioni di dollari.

    Oltretutto, è molto probabile che l’esistenza di nuovi filtri posti a vagliare i contenuti su piattaforme come YouTube o Facebook tenderanno a bloccare molti contenuti in modo preventivo per evitare ripercussioni, limitando così l’accesso a queste piattaforme a nuove menti creative – come youtuber o giovani cantanti, per esempio.

    Un’altra lettera aperta è stata firmata da 57 associazioni e Ong di vari Paesi europei che si occupano di diritti umani e libertà del web.

    I firmatari vogliono sottolineare come la direttiva porterebbe a un processo eccessivo di filtraggio ed eliminazione dei contenuti online, e allo stesso tempo al monitoraggio costante dell’attività degli utenti.

    “Queste condizioni violano la libertà d’espressione, la libertà d’informazione e le leggi sulla privacy”, conclude la lettera.

    A rovesciarsi sui social network – e, in particolare, Twitter, dove l’hashtag #SaveYourInternet è impazzato in tutta Europa dopo l’approvazione della riforma il 12 settembre – sono state anche migliaia di utenti, preoccupate per le conseguenze della riforma, che in tanti paragonano alla censura.

    Certo, a venire danneggiati saranno naturalmente quelle grandi piattaforme come Google (e, in particolare, il suo aggregatore Google News), Facebook, Twitter e Pinterest, ma le conseguenze non potranno che ricadere sugli utenti di questi siti stessi.

    A spiegarlo chiaramente sul proprio profilo Twitter è stato Patreon, una piattaforma famosa che permette ai creatori di contenuti online di realizzarli e condividerli con i propri fan basandosi su un sistema di finanziamento da parte dei fan stessi.

    “Se sei un creatore, il contenuto che vuoi condividere online con i tuoi fan potrebbe essere cancellato senza il tuo consenso. Con ‘creatori’ si intendono artisti, fumettisti, gamer, illustratori, fotografi, documentaristi, animatori, musicisti, DJ, ballerini, blogger e giornalisti”.

    “L’articolo 13 restringerebbe la possibilità per gli utenti di Internet di consumare i contenuti – nel senso che non sarà possibile per loro trovare e godere delle tante diverse forme di espressione culturale a cui sono abituati”, continua Patreon.

    A riunire gli sforzi dei vari attori che si oppongono alla riforma c’è un sito, #SaveYourInternet, appunto, che invita a contattare governi e membri del parlamento europeo per far sentire la propria voce di utenti del web e fermare la direttiva.

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