I dipinti con i quali i migranti sognano un mondo migliore
“Non lo abbiamo scelto”: è il titolo di un’esposizione di dipinti realizzati dai migranti, i quali sognano un mondo migliore attraverso l’arte, che si trovano nel campo profughi di Lesbo, in Grecia.
Le opere verranno esposte a Londra nella chiesa di St. James, a Piccadilly, dal 6 al 17 gennaio 2020, mentre un’asta di beneficenza avrà luogo a Christie’s il 13 gennaio.
Il ricavato dell’asta andrà al Progetto Hope, un’iniziativa che promuove una maggiore dignità per i rifugiati e mira a trasformare il modo in cui sono visti.
Di seguito, alcuni dei dipinti realizzati dai rifugiati, che verranno esposti nella mostra.
Una delle opere esposte si chiama Specchio di umanità ed è stato realizzato da Joseph Kangi, un migrante proveniente dal Sud del Sudan.
Così come si legge nella descrizione: “Il dipinto riguarda l’unità. Persone di paesi diversi, religioni diverse e tribù diverse, che devono accettarsi a vicenda. Dobbiamo unire le nostre mani per costruire un mondo migliore, uno che non vede colore o differenze, solo ciò che ci unisce”.
Il dipinto di Jean Paul Waroma, rifugiato proveniente dal Congo, si chiama Il servizio di una madre a una figlia e “ritrae il rapporto tra madre e figlio. Descrive il semplice atto materno di una madre che si spazzola i capelli di sua figlia, mostrando il legame invisibile che un bambino avrà sempre con sua madre”.
Proveniente dall’Afghanistan, Atefeh Fayazie, invece, ha realizzato il dipinto Sogni perduti. “Ho una famiglia di cinque persone. Ho iniziato il mio viaggio nell’autunno del 2018, quando siamo atterrati in Grecia. Sono andato a una lezione d’arte meravigliosa, che mi ha dato l’opportunità di esprimere i miei sentimenti dipingendo. Questo è uno dei miei sogni: mostra un rifugiato che sta lottando contro la morte e sta perdendo i suoi sogni di venire in Europa per raggiungere i suoi obiettivi”.
Proviene dall’Afghanistan anche Murtaza Safari, autore dell’opera Pensieri complicati. “Non possiamo mai giudicare gli altri dalle apparenze esteriori. Tutti abbiamo le nostre lotte interiori e le menti complicate” afferma Safari.
Masoumeh Jafari, anche egli rifugiato dall’Afghanistan, ha realizzato l’opera No voce. “Setayesh era una bambina afgana che viveva in Iran come rifugiata – afferma Jafari – È stata rapita, violentata e uccisa da un uomo iraniano. Ero davvero arrabbiato per lei e la sua famiglia. Ci sono molte ragazze come Setayesh che hanno avuto le stesse esperienze e piangono in silenzio perché la giustizia non le ha difese. Ho deciso di dipingere questa immagine per onorare la sua memoria e mostrare il dolore e il dolore che provo per quello che è successo”.
Proviene dall’Afghanistan anche Razieh Gholami, che ha realizzato Sperando di sopravvivere. “Il viaggio verso la sicurezza è difficile. L’Europa non vuole rifugiati. Pensavamo di essere arrivati in salvo, ma l’Europa sta cercando di farci lottare di più e rimandarci in pericolo”.