Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Menu
  • Esteri
  • Home » Esteri

    Tutte le difficoltà dell’accordo sulla Siria raggiunto da Stati Uniti e Russia

    A mezzanotte inizia la tregua nel tentativo di facilitare l’arrivo degli aiuti umanitari nelle zone più colpite e concentrare le forze contro i gruppi estremisti

    Di TPI
    Pubblicato il 11 Set. 2016 alle 18:28 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 18:04

    Allo scattare della mezzanotte di lunedì 12 settembre entrerà in vigore il cessate il fuoco in Siria. L’accordo raggiunto da Stati Uniti e Russia prevede una tregua militare nelle aree del paese controllate dall’opposizione moderata nel tentativo di restaurare la pace nel paese, facilitare l’arrivo degli aiuti umanitari nelle zone più colpite e concentrare le forze contro la comune minaccia degli estremisti islamici, esclusi dal cessate il fuoco.

    Gli Stati Uniti, che all’inizio della guerra civile siriana avevano appoggiato i ribelli, si sono trovati in una posizione imbarazzante perché spesso all’interno dei gruppi insorti a prevalere sono state le forze estremiste islamiche, come il Fronte al-Nusra, che recentemente ha modificato il nome in Fateh al-Sham, alleato di Al Qaeda

    L’intervento militare della Russia, invece, ha ridato slancio all’offensiva dell’esercito siriano, appoggiato anche dalle milizie sciite libanesi di Hezbollah e dalle Guardie rivoluzionarie iraniane, che in pochi mesi ha riconquistato terreno ai danni dei ribelli e messo sotto assedio una delle più importanti città in mano agli insorti, Aleppo.

    Di fronte allo stallo di una guerra che ha causato più di 250mila vittime e la peggior crisi di rifugiati dalla fine della Seconda Guerra Mondiale (11 milioni di sfollati, la metà della popolazione siriana prima dell’inizio del conflitto), le due potenze, contrapposte nelle alleanze e negli interessi, hanno deciso di basare l’accordo sul nemico comune: Isis e Fateh al-Sham.

    L’applicazione della tregua dimostra però evidenti problemi. E non solo perché a poche ore dalla presunta fine delle ostilità gli aerei dell’aviazione siriana e russa continuano a colpire (sabato 10 settembre almeno 58 civili sono morti durante un bombardamento su un mercato nella città controllata dai ribelli di Idlib, nel nord del paese).

    Ma soprattutto per la difficoltà concreta per gli Stati Uniti di separare all’interno dei gruppi ribelli i moderati dagli estremisti islamici. Il segretario di Stato John Kerry, infatti, ha chiesto pubblicamente ai leader dei ribelli di rompere immediatamente l’alleanza con gli estremisti islamici se non vogliono rischiare di essere anch’essi colpiti dagli attacchi congiunti di Stati Uniti e Russia.

    Ma per molti combattenti dell’Esercito siriano libero, rompere l’alleanza con gli estremisti islamici è praticamente impossibile perché Fateh al-Sham, a differenza dell’Isis che è concentrato in un’area precisa della Siria, ha una diffusione capillare sul territorio e i miliziani combattono assieme ai ribelli fin dall’inizio della guerra civile.

    Ad esempio, Fateh al-Sham ha giocato un ruolo fondamentale nel rompere l’assedio dell’esercito siriano ad Aleppo. E anche se decidessero di accogliere le richieste degli Stati Uniti, i ribelli moderati rischierebbero di finire immediatamente vittime degli ex-alleati islamisti, in uno scenario che ricorda l’armistizio italiano durante la Seconda Guerra Mondiale.

    Se la tregua, a differenza dei precedenti tentativi reggerà, Russia e Stati Uniti inizieranno dei colloqui preparatori per istituire un comando congiunto per condividere informazioni e distinguere i territori controllati dal Fronte al Nusra da quelli in mano ai ribelli moderati.

    In tutto questo, la lotta al sedicente Stato islamico, che negli ultimi mesi ha subito importanti sconfitte in Siria e in Iraq, ha visto ridursi l’afflusso di foreign fighters, di finanziamenti esteri e capitali dalla vendita del petrolio, ma controlla ancora ampie zone chiave del paese e sicuramente starà progettando una strategia per affrontare i nuovi eventi, come dimostra il caso dell’Iraq, nell’ultimo anno vittima di un’impressionante ondata di attacchi suicidi ai danni della popolazione civile.

    Leggi l'articolo originale su TPI.it
    Mostra tutto
    Exit mobile version