In Asia ci sono alcuni Paesi giovani, con un’età media intorno ai 20 anni, come India, Pakistan e Filippine, e altri con un’età media intorno ai 40 anni, come Giappone, Cina e Corea del Sud.
Nell’aprile dello scorso anno l’India, con 1,4 miliardi di abitanti, ha superato la Cina come nazione più popolosa a livello globale. Nel 2023 la popolazione cinese è diminuita per il secondo anno consecutivo: il tasso di natalità è ai minimi storici – è sceso a 6,39 per 1.000 persone – e le morti oggi superano le nascite.
Il cortocircuito cinese
«Il tasso di infertilità in Cina è aumentato dal 2% dei primi anni Ottanta al 18% del 2020 a causa del ritardo dell’età del matrimonio e della gravidanza e dei cambiamenti nello stile di vita», spiega a TPI il professor Yi Fuxian, scienziato senior in ginecologia presso l’Università del Wisconsin-Madison e autore del libro “Big Country with an Empty Nest”. Fuxian ha passato vent’anni a valutare la nazione più popolosa del mondo ed è una voce dissonante nel dibattito sulla politica del figlio unico. «Psicologicamente – dice – la cultura della fertilità è stata distrutta dagli stili di vita moderni e da una serie di campagne politiche. Come quella del figlio unico, che ha cambiato in modo irreversibile la visione cinese della gravidanza: avere un solo figlio o nessuno è diventata la norma sociale in Cina».
Introdotta nel 1979 per contenere la crescita della popolazione sotto la direzione di Deng Xiaoping, la politica del figlio unico aveva l’obiettivo di controllare e pianificare le nascite. E ha aperto anche la strada alla pratica dell’aborto selettivo, perché culturalmente si preferiva la nascita di figli maschi, considerati più produttivi.
Il Governo di Pechino ha poi implementato la politica dei due figli nel 2016 e la politica dei tre figli nel 2021, e ha introdotto una serie di politiche per incoraggiare la gravidanza, ma qualcosa non ha funzionato.
«Sono stati tutti miserabili fallimenti», commenta Fuxian. «Oggi il tasso di fertilità nella sfera culturale cinese è il più basso del mondo. E questo declino della popolazione sarà accompagnato da un invecchiamento della struttura della popolazione. La percentuale della popolazione di età pari o superiore a 65 anni aumenterà al 35% nel 2050».
Cosa dovrebbe fare, allora, lo Stato per aumentare il tasso di fertilità? «La politica del figlio unico ha rimodellato l’economia cinese, riducendo la capacità genitoriale», spiega il professore. «Ad esempio, il reddito disponibile delle famiglie cinesi rappresenta solo il 44% del Pil, rispetto al 77% negli Stati Uniti e al 65% nel Regno Unito. Nel 2020, il valore totale delle abitazioni in Cina è quattro volte il suo Pil, mentre negli Usa è 1,6 volte e in Giappone 2,1 volte».
Secondo Fuxian le autorità cinesi si trovano di fronte a un dilemma: «Se la Cina aumentasse il reddito disponibile delle famiglie al 60-70% del Pil per aumentare la fertilità, ciò porterebbe a una riduzione del potere del Governo, che scuoterebbe le fondamenta economiche dell’attuale approccio politico “autoritario in patria e aggressivo all’estero”. Le autorità cinesi potrebbero semplicemente non avere la volontà di attuare un simile cambio di paradigma».
Molti giovani citano l’aumento del costo dei matrimoni e della genitorialità, compresa l’assistenza all’infanzia, tra i motivi che li portano a sposarsi sempre meno. Oltre all’onere che molti devono affrontare per prendersi cura di genitori e nonni anziani.
Nel 2020, la Cina aveva cinque lavoratori di età compresa tra i 20 e 64 anni che sostenevano un anziano di età pari o superiore a 65 anni. C’era già un deficit di sicurezza sociale e questo rapporto continuerà a diminuire. Senza una rete di previdenza sociale e di sicurezza familiare, la crisi delle pensioni si trasformerà in una catastrofe umanitaria. E, poiché le donne vivono in media da sei a sette anni in più rispetto agli uomini, saranno loro le principali vittime dell’invecchiamento.
I sussidi del Governo non sono riusciti a cambiare il fatto di fondo: che molti giovani cinesi semplicemente non vogliono figli.
«La Cina è pronta a replicare le politiche giapponesi di riduzione dei costi per i genitori, ad esempio quelli dell’istruzione, la fornitura di assistenza all’infanzia, sussidi per il parto e per l’alloggio alle giovani coppie», dice Fuxian. «Ciò che il Governo cinese intende fare, il Governo giapponese lo ha già fatto ma si è rivelato costoso e inefficiente. Inoltre, la Cina, che “sta invecchiando prima di diventare ricca”, non ha nemmeno le risorse finanziarie per seguire pienamente il percorso del Giappone».
Effetto domino
Lo scienziato spiega anche quali potranno essere le conseguenze di questo declino demografico sulla Cina e sul resto del mondo: «L’invecchiamento – fa notare – provoca un rallentamento dell’economia cinese, che a sua volta rallenterà l’economia globale. L’India ha superato la Cina ed è diventata il Paese più popoloso del mondo, il che significa che la geopolitica globale e la geoeconomia stanno subendo cambiamenti storici».
«Il settore manifatturiero cinese sarà a corto di personale e invecchierà e diminuirà con la stessa rapidità di quello giapponese», prosegue Fuxian. «La quota del Giappone nelle esportazioni manifatturiere mondiali è diminuita dal 16% nel 1986 al 4% nel 2021. Nel 1995 c’erano 149 aziende giapponesi nella Fortune Global 500 (la classifica annuale delle 500 aziende più importanti del mondo misurate in termini di fatturato) ma solo 47 nel 2022. La contrazione della forza lavoro cinese e la recessione manifatturiera porteranno a prezzi elevati e inflazione alta negli Stati Uniti e nell’Unione europea. Il declino e l’invecchiamento della popolazione cinese significano che la domanda interna si sta indebolendo e le importazioni dall’Occidente diminuiranno. La rapida riduzione della popolazione in età da acquisto di case significa che la bolla immobiliare del Paese potrebbe scoppiare, innescando potenzialmente una crisi finanziaria globale peggiore di quella del 2008».
Siamo quindi al cospetto di una minaccia sia per l’economia sia per la stabilità sociale? «Intorno al 2031-2035, la Cina sarà peggiore degli Stati Uniti in tutti i parametri demografici e il suo tasso di crescita economica inizierà ad essere inferiore a quello degli Stati Uniti», mette in guardia il professore. «In passato, la giovane Cina ha cercato di mettersi al passo con l’America di mezza età e il divario economico si è ridotto. Ma in futuro, il divario economico tra la Cina anziana e l’America di mezza età si allargherà nuovamente. L’invecchiamento porterà a carenze nella sicurezza sociale e nell’assistenza sanitaria, portando a una serie di crisi sociali, ma non scatenerà disordini politici perché non ci sono abbastanza giovani attivisti. La regione più anziana, la Cina nord-orientale, manca di vitalità economica e sostiene fortemente il Governo. Sia economicamente che politicamente, l’oggi della Cina nord-orientale sarà il domani del Paese».
«Se paragoniamo l’economia cinese a un aereo – continua Fuxian – possiamo affermare che la politica di riforma e apertura del 1979 ha acceso il carburante, ossia i giovani lavoratori che hanno spinto l’economia a volare in media del 10% annuo dal 1979 al 2011. Tuttavia la politica del figlio unico ha interrotto questo carburante economico. Il tasso di fertilità della Cina è inferiore a quello degli Stati Uniti dal 1991 e a quello di Giappone, Italia, Grecia e Portogallo dal 2000. La forza lavoro cinese di età compresa tra i 15 e i 59 anni ha iniziato a ridursi nel 2012, il che a sua volta ha rallentato la crescita del Pil».
«Una rapida riduzione della forza lavoro giovane – conclude lo scienziato – porterà a un declino del settore manifatturiero cinese e a una riduzione del surplus commerciale, che a sua volta potrebbe portare a un deprezzamento della valuta cinese. Volare ad alta velocità senza carburante sufficiente è pericoloso sia per la Cina che per il mondo».
Tokyo ci prova
Nel frattempo la società asiatica che invecchia più rapidamente, il Giappone, deve affrontare il problema dell’espansione urbana incontrollata e dello svuotamento rurale: due facce della stessa medaglia di questo secolo.
Per combattere lo spopolamento, e invogliare le persone a allontanarsi da una ormai sovraffollata Tokyo – che conta ormai 37 milioni di abitanti – il Paese ha aumentato il sostegno finanziario alle famiglie, che potranno ricevere per ogni bambino un milione di yen (pari a 6mila euro) se si trasferiscono in un’area locale svantaggiata: più del triplo dell’incentivo di 300.000 yen già in vigore.
Non è la prima volta che il Governo tenta di utilizzare leve finanziarie per incoraggiare le persone ad andarsene, ma questo piano è sicuramente più generoso e l’esecutivo spera così che circa 10mila persone all’anno trarranno vantaggio dall’offerta.
Ma questi incentivi rappresentano ovviamente anche una risposta al basso tasso di natalità che caratterizza oggi il Giappone, dove il numero di nascite è sceso sotto le 800.000 all’anno.
Sebbene la nazione insulare asiatica abbia una popolazione di circa 125 milioni e abbia messo in atto politiche per la famiglia, la sua piramide demografica sta rapidamente ingrigendo.
Le sfide dell’India
Le tendenze demografiche stanno influenzando sempre di più le economie e le società. Mentre la Cina e il Giappone dovranno affrontare una grave riduzione delle nascite, e l’invecchiamento cambierà il tessuto della società, l’India dovrà al contrario fronteggiare sia le opportunità sia le sfide che comporta l’essere diventata il Paese più popoloso del mondo.
La popolazione giovanile contribuirà in modo significativo alla realizzazione del potenziale economico del Paese che, secondo le stime della Banca mondiale, dovrà investire 840 miliardi di dollari nelle infrastrutture urbane nei prossimi quindici anni per sostenere la propria crescente cittadinanza.
Ma l’aumento della popolazione comporterà anche il problema della mancanza di posti di lavoro. Anche se gli economisti prevedono che il Pil dell’India crescerà di circa l’8,2% nell’anno fiscale 2023-2024 – il più alto tra le principali economie – il Paese continua ad affrontare alti tassi di disoccupazione (circa l’8%, secondo il Center for Monitoring Indian Economy).
«La creazione di posti di lavoro continuerà ad essere una questione molto impegnativa in India», conferma Shotaro Kumagai, economista del Japan Research Institute ed esperto di Giappone, Thailandia e India. «La manodopera giovane e il basso costo daranno competitività all’economia indiana. Il Governo mira al “Make in India” creando opportunità di lavoro e sviluppando la produzione ad alta intensità di manodopera. Tuttavia sembra difficile che il Paese diventi la seconda “fabbrica mondiale” dopo la Cina».
Dal settembre 2014, il Governo indiano ha condotto una campagna di promozione dell’industria manifatturiera per superare i problemi sociali come la fame, la povertà e la disoccupazione ma questo piano non si è sviluppato al ritmo previsto dall’esecutivo.
Scenario
L’Asia è stata per decenni il centro della crescita della popolazione mondiale: cosa sta succedendo ora? «La pandemia di Covid ha modellato la demografia dei Paesi con effetti che variano a seconda dello stadio di sviluppo economico e sociale di ciascuno», osserva Kumagai. «Ha soppresso le nascite perché sono diminuite le opportunità di incontrare potenziali partner/coniugi a causa del peggioramento dei redditi e dell’imposizione di restrizioni. Il fattore trainante della crescita della popolazione si sta spostando dall’Asia orientale all’Asia meridionale. Ciò è dovuto al rapido declino della popolazione in Cina e al continuo aumento della popolazione in India. I cambiamenti demografici che stanno avvenendo influenzeranno i tassi di crescita economica di entrambe le regioni».
Secondo il professore, la capacità o meno dell’Asia meridionale di aumentare la propria presenza economica a un ritmo commisurato alla crescita della sua popolazione dipenderà dal miglioramento della produttività – attraendo investimenti stranieri attraverso il miglioramento del contesto imprenditoriale – dalla stabilità politica e sociale e dalla liberalizzazione del commercio all’interno della regione.
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