Mercoledì 29 novembre è arrivata a Ginevra la delegazione di Bashar al-Assad che partecipa all’ottavo round di negoziati di pace per la Siria, partiti il giorno precedente sotto l’egida delle Nazioni Unite.
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Un’occasione particolarmente importante perché, per la prima volta dall’inizio del conflitto, le delegazione di Damasco e quella dell’opposizione, arrivata martedì 28 novembre in Svizzera, potranno confrontarsi faccia a faccia.
Una possibilità ancora incerta secondo l’inviato dell’Onu in Siria Staffan De Mistura. “Offriremo loro questa occasione. Vedremo cosa succederà”, ha detto De Mistura dopo aver incontrato i membri della delegazione dell’opposizione.
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De Mistura spera che questa nuova fase di trattative sia utile ad aprire un dialogo “su una nuova Costituzione per la Siria e su elezioni sotto la supervisione delle Nazioni Unite.”
Nel corso di una conferenza stampa svoltasi a Ginevra nella serata di lunedì 27 novembre, il capo della rappresentanza anti-Damasco, Nasr Hariri, ha rivelato che l’unico risultato che si aspetta dai lavori nella città svizzera è la destituzione di Bashar al-Assad dalla guida del paese.
Damasco aveva minacciato di boicottare la conferenza nel caso di richieste simili da parte dell’opposizione. Una presenza che, infatti, è stata in forse fino a poche ore prima dell’arrivo della delegazione a Ginevra.
Hariri ha inoltre lanciato un appello alla Russia, principale alleato di Bashar al-Assad, per fare pressioni affinché si arrivi a una soluzione politica entro sei mesi: “Confrontarci esclusivamente su una transizione politica senza far riferimento ad alcun progresso rappresenterebbe un fallimento per noi e la nostra gente.”
La nuova tranche di colloqui ha ricevuto un’ulteriore spinta dopo il rinvio della conferenza di Sochi, organizzata dal presidente russo Vladimir Putin per trovare una soluzione al conflitto siriano, al prossimo febbraio.
Lo stop ai negoziati in Russia è arrivato dopo le obiezioni della Turchia riguardo la presenza di gruppi d’opposizione collegati all’Unità di protezione popolare (YPG), considerata da Ankara un’estensione del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) attivo nel sud-est della Turchia.
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