La recente invasione del parlamento macedone a opera dei manifestanti nazionalisti ha decretato il fallimento del sistema democratico nel paese. In Macedonia le regole democratiche ed elettorali non valgono più. L’aggressione subita da Zoran Zaev, leader del partito socialdemocratico SDSM, e della sua vice rimarrà l’immagine emblematica di quanto è accaduto.
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Le elezioni parlamentari e presidenziali del 2014 sono state l’inizio della crisi politica che ha colpito il paese. In seguito, l’opposizione socialdemocratica ha denunciato brogli elettorali commessi dal partito di governo VRMO-DPMNE, guidato da Nikola Gruevski. Per questa ragione, i parlamentari eletti della SDSM hanno iniziato a manifestare abbandonando la Sobranie, l’assemblea monocamerale macedone.
La crisi si è inasprita a maggio del 2015, quando migliaia di manifestanti hanno occupato le piazze della capitale Skopje, per poi protestare nelle altre maggiori città del paese. La ragione delle proteste è legata la pubblicazione da parte di Zaev di presunte trascrizioni di intercettazioni secondo cui il governo, nelle persone di Nikola Gruevski e suo cugino, a capo dell’intelligence, Sašo Mijalkov, tenevano sotto stretta osservazione circa 20mila cittadini tra giornalisti, politici, magistrati e attivisti. Nemmeno il mai chiarito scontro di Kumanovo, dove la polizia macedone fronteggiò un presunto commando terrorista albanese, tolse il governo dall’occhio del ciclone.
L’intervento del commissario europeo Johannes Hahn per porre fine alla crisi politica con nuove elezioni e la costituzione di una procura speciale per indagare sullo scandalo intercettazioni si è rivelato del tutto inutile.
Le elezioni di dicembre 2016 hanno proclamato come primo partito la VMRO-DPMNE, e questo ha fatto pensare a un nuovo governo nazionalista in Macedonia. Ma la Costituzione e la prassi politica hanno ribaltato il risultato. La Costituzione macedone, rivisitata a seguito del conflitto etnico tra albanesi e slavi nel 2001, prevede infatti che alcune leggi debbano subire un processo di voto a doppia maggioranza. Questo significa che la maggioranza parlamentare non è sufficiente, giacché è necessaria anche la maggioranza dei soli parlamentari di etnia albanese. La prassi politica, invece, ha sempre previsto che il primo partito macedone si alleasse con il primo partito albanese.
Alleato della VMRO-DPMNE quasi ininterrottamente dalla sua fondazione è stata la DUI (Democratic Union for Integration) di Ali Ahmeti, ex leader dell’UÇK macedone, che poco ha a che vedere con il suo omonimo operante in Kosovo. A seguito delle ultime elezioni, tuttavia, divergenze politiche hanno fatto sì che la DUI prendesse parte a una piattaforma politica comprendente gli altri partiti albanesi (DPA e il Movimento filo-turco Besa) con il benestare di Tirana e Priština.
Tale piattaforma ha portato al definitivo collasso delle regole democratiche in Macedonia. Ha infatti dato il suo sostegno all’opposizione socialdemocratica SDSM, dando a Zoran Zaev i numeri necessari per governare. Richiesta rifiutata dal Presidente Gjorge Ivanov, vicino alla VMRO-DPMNE, con la scusa che tale gruppo metta a repentaglio l’integrità territoriale del paese. Secondo Ivanov, infatti, la costituzione di questa piattaforma a Tirana sarebbe un pretesto per unificare i territori a maggioranza albanese – il nord-ovest del Paese – e realizzare quindi parte del processo, visionario, della Grande Albania. Niente di ciò è reale, tuttavia.
I supporter nazionalisti hanno colto la palla al balzo, e iniziato a manifestare da settimane per le vie di Skopje. L’ultima invasione del parlamento e l’aggressione subita dai parlamentari della SDSM hanno confermato il fallimento dello Stato. La democrazia non esiste, o esiste solo se a governare è Gruevski. In questo pericoloso gioco politico, che richiama a tremendi ricordi degli anni Novanta e Duemila, a pagarne le conseguenze sono i cittadini macedoni.
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