Covid, India: “I dati reali sui morti sono più del doppio di quelli ufficiali”
I dati reali suo morti per Covid in India sono “più del doppio di quelli ufficiali”: lo sostengono diversi esperti, che spiegano perché la variante indiana non deve essere sottovalutata dagli altri Paesi.
In un articolo del Corriere della Sera, infatti, vengono elencati i tre principali motivi per cui ciò che sta accadendo in India in qualche modo ci riguarda da vicino.
Il primo punto è proprio sui numeri dell’emergenza che appaiono sottostimati per diverse ragioni. Se al tempo stesso nel Paese vengono registrati il 50% dei nuovi casi globali al giorno, è pur vero che il rapporto tra positivi e decessi è mediamente più basso rispetto ad altri Paesi, come ad esempio l’Italia.
In India, infatti, su oltre 17 milioni e mezzo di contagiati sono stati registrati 197.880 decessi con un tasso di letalità pari all’1,1, inferiore a quello del Messico (9,2), del Perù (3,3), dell’Italia (3,0), del Brasile (2,7) e degli Usa (1,8).
Il problema, però, è come detto la sottostima dei contagi e dei decessi, che, secondo alcuni studi condotti dall’epidemiologa Bhramar Mukherjee, ammonterebbero da 2 a 5 volte quelli registrati.
La stima troverebbe conferma nelle parole rilasciate da alcuni addetti alle cremazioni al New York Times, in cui emerge che, in molti casi, i dati sulle morti per Covid sono stati falsati. Ad Ahmedabad, nello Stato di Gujarat, un impiegato ha confessato di aver registrato, per ordine del suo capo, i decessi con un generico “sickness” (malattia), mentre a Bhopal sono stati registrati 44 morti per Covid. Ma un’inchiesta del Nyt ha svelato che in realtà i decessi dovuti al virus erano più di 1000.
La variante indiana
A peggiorare la situazione sanitaria in India è stata la cosiddetta “variante indiana” del Covid. La variante, così come quella inglese, sembrerebbe essere più contagiosa, ma non più aggressiva. Inoltre, secondo i primi studi, i vaccini attualmente a disposizione proteggerebbero anche da questa mutazione del virus.
A preoccupare i Paesi mondiali, quindi, sono perlopiù due fattori. Il primo è che, essendo vaccinato solo il 10% della popolazione indiana, la circolazione libera della variante possa modificare ulteriormente la variante, rendendola ancora più aggressiva o, peggio ancora, rendere i vaccini inefficaci.
La seconda è dovuta al fatto che la copertura vaccinale nella popolazione mondiale è ancora troppo bassa per contrastare una variante del virus così aggressiva. Anche nel Regno Unito, dove circa il 50% della popolazione ha ricevuto già la prima dose, la bassa percentuale di richiami effettuati, fa temere la possibilità che la nuova variante del virus possa portare a nuove reinfezioni, che getterebbero il Paese nuovamente nell’incubo.
La produzione di vaccini
L’India è un Paese cruciale nella lotta al Covid dal momento che nel Paese vengono prodotti circa il 60% dei vaccini impiegati in tutto il mondo.
Nell’azienda Serum Institute, infatti, si producono milioni di dosi del vaccino indiano (Covaxin), di AstraZeneca e del vaccino americano Novavax, mentre c’è già un accordo con con l’Istituto russo Gamaleya per la produzione di 200 milioni di dosi di Sputnik V.
La situazione sanitaria ed epidemiologica dell’India, però, ha mandato l’Istituto in crisi. Le esportazioni di AstraZeneca, per esempio, sono passate dai 60-70 milioni al mese tra gennaio e marzo ai 1,2 di aprile.
La crisi del Serum Institute, quindi, si ripercuote inevitabilmente sulla campagna vaccinale di tutti gli altri Paesi, Italia inclusa, con il risultato che la pandemia di Covid potrebbe durare ancora a lungo.
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