Dopo la votazione del Senato a favore della messa in stato d’accusa della presidente del Brasile (questo significa impeachment, con 55 voti a favore e 22 contro), Dilma Vana Rousseff “è ufficialmente imputata in un processo legislativo criminale”, spiega il giurista Wálter Fanganiello Maierovitch, già zar anti-droga brasiliano, giudice ed oggi presidente dell’”Istituto italo-brasiliano Giovanni Falcone”.
Il crimine di responsabilità di cui è accusata Dilma è quello fiscale, stabilito dall’articolo 55 della Costituzione brasiliana ed evidenziato lo scorso ottobre dalla Corte dei Conti verde-oro (Tcu) con l’inedita bocciatura del bilancio 2014 per ben 106 miliardi di reais, circa 35 miliardi di euro al cambio dell’epoca, non contabilizzati in modo corretto.
“La prima fase di questo processo – dettaglia Maierovitch – è quella istruttoria, con la raccolta delle prove a carico di Dilma. Saranno ascoltati testimoni, verificati documenti e Rousseff avrà diritto a difendersi, scegliendosi se vuole un avvocato”. A quel punto ci sarà una decisione del Senato in seduta plenaria nel merito della questione – “cosa che sinora è mancata anche perché l’avvocato generale dello stato, Zé Cardoso, nei suoi tanti ricorsi politici non è mai entrato nel merito giuridico” sottolinea Maierovitch – con accusa, difesa e direzione dei lavori al presidente della Corte suprema, Ricardo Lewandowski e, entro sei mesi, ci sarà la votazione decisiva.
Per essere considerata colpevole – e dunque condannata a non ricoprire nessun incarico pubblico sino al 2024 – i voti contro Dilma Rousseff in Senato dovranno essere almeno 54, uno in meno di quelli ottenuti dall’opposizione e, dunque, rebus sic stantibus, assai probabile.
C’è però una possibilità per Dilma di sfuggire all’infamia dell’ostracismo da qualsiasi incarico statale nei prossimi otto anni, ovvero rinunciare alla presidenza prima della condanna. Se, invece, a sorpresa dovesse essere assolta, entro i prossimi 180 giorni Rousseff ritornerebbe a guidare il Brasile, rimandando a casa Michel Temer, il suo vice che oggi ha preso ad interim il suo posto.
Ma al di là dei destini processuali di Dilma Rousseff, che succederà a partire da domani in Brasile? Di certo c’è che Temer eredita un paese sull’orlo del disastro economico sul fronte dei conti pubblici, con un Pil che tra metà 2014 e fine 2016 si prevede crollerà del 10 per cento, un’inflazione in doppia cifra, 12 milioni di disoccupati ed oltre 60 milioni di brasiliani indebitati sino al collo. Il deficit di bilancio verde-oro è de facto senza precedenti e secondo l’ultima relazione dell’agenzia di rating Moody’s, il buco potrebbe essere addirittura di 600 miliardi di reais, circa 150 miliardi di euro al cambio odierno, un’enormità insomma.
Temer dovrà dunque farsi carico delle ricapitolazioni del Tesoro nelle statali Petrobras, Eletrobras e Caixa Economica Federal, della rinegoziazione dei debiti degli stati che compongono l’Unione verde-oro – alcuni come quello di Rio sono letteralmente “in rosso” e da mesi ritardano i pagamenti dei dipendenti – e della copertura di fondi settoriali per studenti e lavoratori come il Fies e il Fat.
Per Moody’s le stime di queste “spese straordinarie” faranno schizzare il debito pubblico, oggi leggermente sotto il 70 per cento del Pil, al 90 per cento del prodotto interno lordo brasiliano nel 2018. Nel prossimo triennio, inoltre, Petrobras avrà bisogno di 330 miliardi di reais (pari al 5,6 per cento del Pil), oltre cento miliardi dei quali solo per pagare i debiti “monstre” accumulati da un decennio di gestione corrotta, come dimostrato dalla locale “Mani pulite”. Eletrobras, secondo fonti vicine alla statale dell’energia, ha invece bisogno di circa 50 miliardi di reais per rimettersi in carreggiata.
Altra bomba potenziale è rappresentata dai conti degli stati – l’equivalente delle nostre regioni – indebitati, anche qui, per centinaia di miliardi. A giugno la Corte suprema deciderà se accettare o meno la riduzione degli interessi chiesta dall’amministrazione periferica e, se accoglierà la richiesta, al fardello debitorio dello stato centrale si aggiungerà un ulteriore passivo di 402 miliardi di reais.
Per il momento Moody’s non vede rischi imminenti per le banche statali Caixa, Banco do Brasil e Bndes ma, se dovesse verificarsi un peggioramento settoriale, anche indotto da fattori esterni, il passivo potrebbe esplodere, arrivando nella peggiore delle ipotesi a 600 miliardi di reais. Delle tre a stare peggio è la Caixa Economica Federal che, a detta degli esperti consultati dal quotidiano Estado de São Paulo, ha bisogno di 40 miliardi di reais per rimettere i conti in ordine.
Il paese è dunque in difficoltà e i traumi che dovrà affrontare il prossimo inquilino di Planalto sono tanti. Un’ennesima prova di maturità politica, economica e istituzionale per un Brasile ormai alle soglie dell’Olimpiade di Rio di Janeiro.
— L’articolo è stato pubblicato da ISPI con il titolo “Il Brasile dopo Rousseff, tra crisi economica e istituzionale” e ripubblicato in accordo con l’Istituto su TPI
* Paolo Manzo è un analista di ISPI esperto di America Latina
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