Il giorno dopo la strage in una sinagoga di Gerusalemme per mano di terroristi palestinesi in cui sono morte cinque persone, Israele ha mantenuto la propria parola riguardo una reazione dura.
Ieri è stata infatti demolita la casa del palestinese che lo scorso ottobre si è lanciato con la propria automobile contro le persone in attesa alla fermata di un autobus a Gerusalemme, uccidendo una bambina di tre mesi e una donna.
Il premier Nethanyahu ha chiarito che si tratta solo del primo passo per riportare l’ordine in Israele. Ma quello della sicurezza è anche uno dei grandi temi della politica israeliana in vista delle prossime elezioni. Anche per questo, il premier israeliano ha invitato tutti i partiti a unirsi al proprio governo, per creare una coalizione di unità nazionale.
Se però tutti sono d’accordo sul fatto che il terrorismo vada sconfitto, le modalità perchè questo avvenga dividono non poco la politica israeliana.
Naftali Bennett, ministro dell’Economia e leader del partito nazionalista ebraico HaBayit HaYehudi, ha indicato come soluzione un’azione militare a Gerusalemme est. Soluzione però giudicata impraticabile da Ami Ayalon, ex direttore dello Shin Bet, il servizio di sicurezza interno israeliano.
Per ora, dunque, la strada praticata dal governo israeliano è quella delle demolizioni delle abitazioni dei palestinesi coinvolti in attacchi terroristici: una pratica che è avvenuta anche a giugno, contro gli autori del rapimento e dell’omicidio di tre ragazzi israeliani in Cisgiordania, ma che a Gerusalemme non avveniva da molto tempo.
La tensione, già molto alta, potrebbe crescere a causa della decisione della municipalità di Gerusalemme di costruire 78 nuove case nel territorio di Gerusalemme est. Una decisione duramente condannata dall’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) tramite il portavoce della presidenza Abu Rudeina, che sostiene sia parte di una politica del governo israeliano che non fa altro che generare nuove tensioni.
In questa situazione, si fa concreto il rischio che esploda una terza Intifada. Ieri, infatti, a Gerusalemme est, un centinaio di ragazzini palestinesi, alcuni con poco più di 10 anni, sono scesi in strada, hanno dato fuoco a pneumatici e lanciato pietre contro un posto di blocco della polizia israeliana.
Sulla situazione tra israeliani e palestinesi è intervenuto anche Papa Francesco, che ha definito la strage della sinagoga una “inaccettabile violenza” e chiesto a israeliani e palestinesi che si prendano “decisioni coraggiose per la riconciliazione e la pace”.
Anche il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni ha chiarito la necessità che tutte le parti si impegnino in un processo di pace prendendo le distanze da azioni violente. I sottosegretari agli esteri e alle politiche europee, Benedetto della Vedova e Sandro Gozi, si recheranno a breve a Gerusalemme.
Tuttavia, Israele fa notare che iniziative di altri Paesi, come quella del Parlamento spagnolo che, proprio due giorni fa, ha chiesto al governo di riconoscere lo stato palestinese con un voto bipartisan, non aiutano a pacificare il clima nel Medio Oriente.
La situazione si fa molto calda anche al confine tra Striscia di Gaza ed Egitto, dove alcuni razzi hanno colpito un’abitazione civile a Rafah, uccidendo 15 persone. Non è ancora chiaro se il razzo sia stato lanciato dall’esercito egiziano, impegnato nel combattere diverse cellule jihadiste nella zona, o un gruppo di estremisti islamici.