“Che risultato si ottiene sommando un proiettile a un altro proiettile? Si ottengono due proiettili!”. La risposta era semplice e scontata per gli allievi della scuola elementare del villaggio iracheno di Jaraf, a sud della città di Mosul, quotidianamente sottoposti a quesiti di questa natura durante le ore di matematica.
Negli ultimi due anni, l’intero villaggio di Jaraf è stato sotto il controllo del sedicente Stato islamico. I suoi residenti una volta liberati, hanno raccontato come si viveva sotto il loro influsso e quali effetti negativi la loro presenza aveva provocato sulla qualità dell’istruzione.
Dal 2014 a oggi, anche le strutture scolastiche dislocate nelle aree sotto il controllo dei miliziani dell’Isis, sono state inglobate nel processo di islamizzazione radicale imposta dagli uomini dell’autoproclamato Califfato.
Perciò, le regole, i divieti e gli obblighi in piena conformità con i loro precetti non influivano solo sull’aspetto esteriore e l’abbigliamento delle persone – barbe lunghe per gli uomini con il divieto di raderle e niqab, il velo integrale, per le donne – ma avevano mutato anche i programmi scolastici allo scopo di inculcare una visione del mondo distorta fin dalla più tenera età.
Sabato 12 novembre, una delle scuole nel villaggio liberato dalle forze irachene ha riaperto i battenti per la prima volta da quando i combattenti dell’Isis sono stati costretti alla ritirata. La reazione non solo degli insegnanti, ma soprattutto dei bambini è stata di gioia.
Studenti schiamazzanti hanno subito invaso i corridoi e le aule della scuola. Molti di loro hanno improvvisato una partita a calcetto nel cortile antistante l’edificio, mentre altri hanno strappato via dalle pareti i cartelli sui quali erano elencati gli obblighi e i divieti e le pagine dei libri scelti per loro dagli uomini dell’Isis.
“Avevano portato libri nuovi, tutti islamici”, ha raccontato all’agenzia Afp Sanaa Ahmed, una delle studentesse.
“Sui libri che utilizzavamo in precedenza c’erano delle immagini colorate, ma loro li hanno cambiati, dicevano che le immagini erano proibite”, ha raccontato ancora Sanaa, che indossa un abito di lana rosa e una collezione di braccialetti bianchi su entrambi i polsi. “Ci hanno portato le immagini di bambine completamente coperte da niqab, guanti e calze, non so come facessero a non soffocare”, ha aggiunto la bambina.
Secondo il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef) sono almeno 4,7 milioni i bambini direttamente colpiti dal conflitto in Iraq e 3,5 milioni quelli che non frequentano la scuola.
Durante l’occupazione degli uomini del sedicente Stato islamico, numerose famiglie di Jaraf avevano deciso di non mandare i loro figli a scuola. “Stavano cercando di controllare le menti dei bambini, insegnando loro a uccidere il prossimo”, ha raccontato un giovane padre di 28 anni.
Nel corso delle lezioni di algebra, al posto delle mele o di altri oggetti presi come esempi per insegnare ai bambini a fare le operazioni matematiche nella maggior parte dei casi si faceva riferimento alle armi. Chiedevano “quanto fa un razzo sommato a un altro razzo, o una pallottola sommata a un’altra pallottola?”, ha raccontato un altro genitore consapevole di quanto tali insegnamenti fossero pericolosi.
“Quando i bambini saranno cresciuti, che tipo di istruzione potranno dire di aver ricevuto? Quando decideranno di prendersi una laurea, diventeranno forse dei medici o degli ingegneri? No, tutto questo non sarà possibile, perché quando saranno grandi diverranno combattenti fedeli all’Isis”, ha sottolineato un altro residente.
Il processo di radicalizzazione imposto dagli uomini dell’Isis era condotto non solo attraverso i nuovi libri di testo, ma anche grazie a insegnanti pronti a diffondere il credo del gruppo estremista.
Il manuale di educazione fisica scelto dai miliziani, oltre a riportare il logo dell’Isis su ogni pagina, descriveva gli esercizi da compiere: in alcuni casi si trattava di regolare esercizio fisico, ma in altri era piuttosto chiaro l’intento di diffondere una visione del mondo distorta.
Il primo capitolo spiegava come “sedersi a gambe incrociate in maniera corretta”. A una prima lettura, il testo non sembrava celare alcun messaggio negativo, ma se si proseguiva nella lettura si incappava nella descrizione del “gioco delle sette pietre”, che forniva dettagli su come prepararsi a eseguire una vera e propria lapidazione.
Altri alunni hanno raccontato che quotidianamente erano costretti a intonare in aula una canzone di lode al Califfo, scandendo con chiarezza il ritornello: “Tutti voi dovete unirvi e giurare fedeltà ad Abu Bakr al-Baghadadi”.
Oltre ai manuali revisionati e alle canzoni pro-Isis, gli studenti erano costretti ad assimilare le nozioni da insegnanti che sostenevano l’operato del sedicente Stato islamico. “Un maestro ci diceva ogni volta che l’Isis era buono, che ti dava cibo e denaro. Voleva che convincessimo i nostri genitori di unirsi a loro”, ha raccontato uno degli studenti.
Prima che le forze irachene lanciassero la loro offensiva contro i miliziani dell’Isis per riconquistare porzioni di territorio sottraendolo al loro controllo, tutti i villaggi e i piccoli borghi situati nella valle del Tigri (nella provincia di Ninive) costituivano il cuore pulsante del Califfato autoproclamatosi nel 2014.
Negli ultimi due anni, gli abitanti di questi centri urbani hanno vissuto nell’isolamento totale, tagliati fuori dal resto del mondo. Ogni aspetto della loro vita passava sotto il controllo serrato degli uomini dell’Isis. A farne le spese non solo gli adulti ma anche i bambini, ancora troppo piccoli e ingenui per capire cosa si celasse realmente dietro le intenzioni dei nuovi venuti.
“I bambini non avevano capito tutto questo perché sono solo bambini, e loro vogliono soltanto giocare”, ha raccontato un residente. “Hanno provato a piegarli nel tentativo di trasformarli in futuri combattenti pronti a farsi saltare in aria, o compiere altre nefandezze, ma l’Isis non ha trionfato. Hanno tentato di inculcarci le loro idee, ma noi abbiamo già cancellato via ogni cosa”.