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    Coronavirus, come funziona il vaccino di Oxford: 32mila volontari pronti a testarlo

    Di Carmelo Leo
    Pubblicato il 25 Lug. 2020 alle 12:54

    Coronavirus, come funziona il vaccino di Oxford: 32mila persone per il test

    Tutto il mondo è in trepidante attesa del vaccino contro il Coronavirus. Al momento, sono tre gli studi clinici più vicini al risultato: il vaccino Sinovac dell’Instituto Butatan (Cina), il “mRna-1273” dell’azienda biotech Moderna (Usa) e il vaccino “AZD1222” di Oxford (Gran Bretagna). Tutti stanno entrando nella Fase 3 della sperimentazione sull’uomo, che dovrà accertare il livello di sicurezza e protezione immunitaria garantito dal siero, prima di passare al test sull’efficacia dello stesso vaccino nello sconfiggere il Covid-19. Proprio qualche giorno fa, sulla nota rivista scientifica The Lancet, è stato pubblicato uno studio che aiuta a capire come funziona il vaccino messo a punto a Oxford e realizzato in collaborazione con l’azienda Irbm di Pomezia, che si occupa della produzione delle dosi.

    Il vaccino britannico “AZD1222” usa come “vettore virale” un adenovirus geneticamente ingegnerizzato con la proteina Spike S del Coronavirus. Fino a questo momento, il siero è stato sperimentato su una platea di 1.077 volontari. Il livello di sicurezza, spiegano gli scienziati, è sufficiente per allargare la sperimentazione a circa 10mila altre persone in Regno Unito. Ma non solo: Andrew Pollard, del gruppo di ricerca dell’università di Oxford, ha spiegato inoltre che a breve ci saranno delle prove anche negli Stati Uniti (i volontari saranno oltre 30mila e verrà effettuato anche uno studio pediatrico), in Brasile (5mila) e in Sudafrica (2mila).

    Lo studio pubblicato su The Lancet sottolinea che il vaccino produce gli anticorpi neutralizzanti, ma in un’intervista a Il Fatto Quotidiano Antonella Viola (immunologa dell’università di Padova) ha chiarito che “a seconda del metodo usato per misurarli, il titolo degli anticorpi è diverso. E’ possibile che ciò avvenga perché si usano test diversi, ma sarebbe meglio che si trovasse il modo di standardizzare la misurazione”. Non basta, dunque, produrre semplicemente anticorpi: è essenziale che questi siano neutralizzanti del virus e bisogna capire bene quale concentrazione di anticorpi è sufficiente per sconfiggere il Covid-19. Molto probabilmente, inoltre, non basterà una sola dose di vaccino per inoculare nel nostro corpo una quantità di anticorpi neutralizzanti tale da garantire l’immunità. A chiarirlo, sempre a Il Fatto Quotidiano, è Massimiliano Mazza ricercatore dell’IRST di Meldola e responsabile (con il professor Giovanni Martinelli) del progetto internazionale ACT4COVID: “Il livello di anticorpi neutralizzanti – spiega – nei volontari vaccinati è confrontabile a quello del plasma dei guariti, a 35-42 giorni e dopo due dosi del vaccino. Non si può escludere che sarà necessaria quindi una seconda dose del vaccino per ottenere una protezione efficace”.

    I ricercatori di Oxford, in ogni caso, predicano ancora prudenza. Anche perché questa fase della sperimentazione del vaccino per il Coronavirus coinvolge un basso numero di volontari, per lo più giovani e sani (età media: 35 anni). “Indurre le stesse risposte – fanno sapere – nelle persone che sono più vulnerabili a causa della vecchiaia, dell’obesità, di malattie o di trattamenti immunosoppressori, è molto più difficile”. E poi c’è il grande tema della durata dell’immunità. Anche su questo, non ci sono ancora risposte certe. La vera difficoltà sarà stabilire la durata della risposta anticorpale negli anziani o in altri gruppi specifici, come i bambini.

    La Fase 3 della sperimentazione del vaccino contro il Coronavirus dovrebbe concludersi a settembre, mentre la distribuzione ipotetica su larga scala avverrà nella primavera del 2021. La vera efficacia del siero, dunque, potrà essere testata soltanto in caso di contatto con il virus reale. E ciò può avvenire casualmente (se le persone vaccinate vengono esposte al Covid-19) oppure iniettandolo su alcuni volontari. Una pratica, questa, rischiosa in assenza di farmaci e soprattutto non etica. Ma come già anticipato sono già oltre 32mila le persone disposte a farsi inoculare il Coronavirus per accelerare la creazione del vaccino. Nelle conclusioni dello studio pubblicato su The Lancet, i ricercatori dell’università di Oxford sottolineano inoltre che “il successo del siero dipende dalla fiducia della comunità nelle scienze dei vaccini, che richiede una valutazione completa e trasparente del rischio e una comunicazione onesta dei potenziali danni”.

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