Mentre scrivo questo pezzo i casi sono quasi 150mila negli Stati Uniti. Quando verrà pubblicato, la cifra sarà più alta. Molto più alta. Non a caso, gli States hanno registrato mille malati di coronavirus in un mese, all’inizio, quando le cose sembravano tranquille e lungi da diventare lo scenario apocalittico attuale. I successivi mille sono venuti fuori in appena due giorni. Dentro questo dato c’è tutto. Dopo questi mille in 48 ore, dal 10 marzo, i numeri hanno iniziato a crescere vertiginosamente, a una velocità mai vista prima. Dicono che sia dovuto al numero dei test fatti, finalmente su ampia scala (anche se ne servirebbero molti di più), che hanno rivelato una situazione tragica che, fino a fine febbraio, era rimasta sotto traccia.
La gente si ammalava, c’erano stati dei casi di persone infettate senza essere state in Cina o a contatto con viaggiatori provenienti dal primo epicentro dell’epidemia, ma i numeri erano bassi. La verità è che la minaccia del Covid-19 è stata ampiamente sottostimata dalle autorità, forse più che in Italia e in Europa. In primis dalla stessa Casa Bianca, dove il presidente Donald Trump ha affermato per diverso tempo che il virus era solo una “brutta influenza” e che con il caldo, verso aprile, sarebbe scomparso. Inoltre, ha detto che il paese era pronto ad affrontare il diffondersi dei contagi. Non era così. Infatti, nonostante gli scenari catastrofici in Cina e in Italia, e un mese di tempo per prepararsi, le tre agenzie federali sanitarie hanno miseramente fallito nel rispondere rapidamente e ottenere un numero sufficiente di test a livello nazionale.
Difetti tecnici, ostacoli normativi, una burocrazia lenta e una mancanza di leadership a vari livelli sono state il mix letale che ha portato al fiasco. Anche non fare affidamento ai test dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha sicuramente fatto perdere tempo prezioso. Di fatto, se i numeri erano rimasti così bassi a febbraio, non era perché il virus non circolasse in giro, era perché non erano state testate abbastanza persone. E anche se le autorità si sono mosse (alla buon’ora) per fornire test e strutture mediche (maschere, respiratori, protezioni), non tutte le persone possono essere testate né curate in maniera appropriata. Anzi, come successo a diverse persone, se non hai abbastanza sintomi e un’età non a rischio, l’unica cosa che ti dicono di fare, se chiami il 911, è di restare a casa e non uscire. Di fare un test, manco a parlarne.
Giusto per darvi qualche numero che chiarisca la realtà attuale: vengono testate 65mila persone al giorno, ma se ne dovrebbero testare, come minimo, 150mila, per poter rispondere propriamente alla pandemia. In tutto ciò, il presidente Trump, spesso in totale antitesi agli esperti che lo circondano, come l’immunologo Anthony Fauci, ha tentato di minimizzare la situazione, affermando che per Pasqua avrebbe riaperto tutte le attività e che l’emergenza nazionale sarebbe finita presto. Secondo lui, bloccare i voli dall’Europa e dalla Cina era la soluzione al problema. Nemmeno lontanamente. Solo questa domenica ha (forse) cambiato atteggiamento, quando ha esteso le politiche governative d’isolamento sociale (stare a casa, non andare a lavoro e così via) fino alla fine di aprile e riconosciuto che la situazione è seria. Perché, per chi non lo avesse capito, c’è l’emergenza, ci sono le direttive, ma non esiste nessuna quarantena nel paese.
Alcune aree critiche, come la California e lo stato di New York, hanno deciso di imporre dure restrizioni alla mobilità dei cittadini e di bloccare le città, ma sono state solo decisioni statali. E non c’è nessun obbligo vero e proprio di restare a casa. Quando Trump, nel passato weekend, aveva ipotizzato l’idea di una quarantena per gli stati di New York, New Jersey e parte del Connecticut, di fronte alle numerose polemiche, fra cui quella del governatore Andrew Cuomo, ha dovuto ritrattare e la cosa è prontamente naufragata. La polizia non fa multe, non controlla: si fa affidamento molto sull’essere buon cittadini, sul fatto che le persone resteranno a casa, ma in molte parti del paese, come qui a Washington dove vivo, la non imposizione di regole dure ha portato a una conseguenza: le persone continuano a sottostimare il problema. Ed è così un po’ ovunque. Le persone escono, vanno in giro, nonostante sia tutto chiuso tranne supermercati e attività essenziali e, sebbene non in maniera massiva, non stanno a casa come dovrebbero.
Le litigate con i miei amici americani e il mio esortarli a non uscire, finiscono quasi sempre senza alcun esito. Nel mentre, i casi crescono, il numero dei morti in America ha superato quota 2.500 e Anthony Fauci, direttore dell’National Health Institute, ha affermato che un milione di americani potrebbe contrarre il virus e che i morti potrebbero essere centinaia di migliaia. Una stima che, per quanto grande e spaventosa, sembra ampiamente realistica nei prossimi mesi, nonostante il direttore (e guru dell’immunologia) abbia detto che con le dovute misure restrittive, come quelle già attuate, questo scenario si potrà evitare. Ciò che resta incredibile è vedere come, in meno di due settimane, gli Stati Uniti siano diventati il nuovo epicentro mondiale della pandemia, quando in molti credevano che le cose sarebbero migliorate già a fine marzo, mentre i casi aumentano a vista d’occhio, giorno dopo giorno, nonostante gli sforzi.
Il picco dei contagi sembra ancora distante dall’essere raggiunto e, secondo gli esperti, potrebbe arrivare addirittura fra un mese.Basti solo pensare a New York e il suo stato, dove la situazione è peggio che a Wuhan o in Lombardia, e dove sono stati registrati più della metà dei casi a livello nazionale. Una tale situazione d’emergenza non si vedeva dai tempi dell’ 11 settembre. In poche parole, se gli Stati Uniti stanno vivendo la più grande emergenza sanitaria della loro storia, le ragioni di un tale fallimento sono sotto la luce del sole, nonostante Trump abbia avuto tutto il tempo per prepararsi. Il che rende la cosa ancora più assurda. La Casa Bianca ha inviato messaggi contraddittori sulla portata del pericolo e su come affrontarlo, portando così alla mancanza di una coerente e unificata risposta alla minaccia. E pensare che l’intelligence statunitense aveva persino avvisato il presidente di una possibile ipotesi di pandemia già a gennaio. Ovviamente l’avvertimento fu ignorato.
Senza contare che, sì, il sistema sanitario americano è buono, all’avanguardia e ha un’ottima reputazione, ma sono stati fatti degli errori talmente ingenui e imbarazzanti che hanno compromesso terribilmente la capacità di risposta del paese. Fra questi: l’incapacità di trattare seriamente la pandemia, nonostante avesse messo in ginocchio Cina ed Europa. Un mese per potersi preparare con respiratori, maschere, equipaggiamento protettivo, e nulla è stato fatto come si sarebbe dovuto. E quindi ora, da costa a costa, l’unica cosa che rimane da fare è attendere, mentre in molti stati si è segnalato un notevole aumento nell’acquisto delle armi. Tuttavia, non si assiste ancora a scenari di psicosi e panico generale, come nei film, e le notizie che descrivono una “corsa agli armamenti” non sono veritiere al cento per cento.
In conclusione, in molti si chiederanno: perché non viene imposta una quarantena nazionale come in Italia? A mio avviso, forse, sarebbe l’unica vera soluzione per fermare la propagazione, ma applicarla e mantenerla negli Stati Uniti sarebbe troppo difficile e richiederebbe sforzi immani, viste le dimensioni del paese e il fatto che molte persone lavorino in città e vivano fuori dalle metropoli. Nella speranza che il caldo possa veramente fare un miracolo (molti esperti confermano l’ipotesi) l’unica cosa che è rimasta da fare agli statunitensi è una: rimanere a casa. Costi quel che costi. L’economia verrà salvata successivamente e il governo ha già approvato aiuti per 2 trillioni di dollari, ma al momento, con la consapevolezza che la situazione potrà solo peggiorare, il classico ottimismo degli americani per il futuro sembra improvvisamente scomparso.
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