“Coronavirus si trasmette fino a 5 metri”: lo studio dell’università della Florida
Le goccioline di Coronavirus nell’aria possono contenere particelle di virus e consentire la trasmissione della malattia con una distanza fino a quasi 5 metri: a spiegarlo uno studio, pubblicato online e non ancora sottoposto a peer review, commentato da un articolo sul New York Times, condotto dagli esperti dell’Università della Florida, che hanno isolato virus vivi da aerosol a una distanza compresa tra due e quasi cinque metri. “Si tratta di una prova inequivocabile della presenza di virus infettivi negli aerosol – afferma Linsey Marr, esperta nella diffusione aerea di virus non direttamente coinvolta nel lavoro – la distanza considerata è nettamente maggiore rispetto al metro consigliato dagli esperti per ridurre la diffusione”.
Per alcuni esperti non era ancora chiaro se la quantità di virus raccolta fosse sufficiente a provocare l’infezione. “Campionare materiale biologico – sostiene Shelly Miller, ingegnere ambientale presso l’Università del Colorado Boulder – è piuttosto difficile. È necessario effettuare il campionamento del materiale biologico in modo che sia più simile a come viene inalato”. Il team ha ideato un campionatore che utilizza vapore acqueo puro per ingrandire gli aerosol abbastanza da poter essere raccolti facilmente dall’aria. Piuttosto che lasciare queste goccioline nell’ambiente, l’apparecchiatura li trasferisce immediatamente in un liquido ricco di sali, zucchero e proteine, che preserva l’agente patogeno.
Il gruppo di ricerca aveva utilizzato questo metodo per campionare l’aria dalle stanze degli ospedali, ma i tentativi precedenti avevano reso difficile l’isolamento del Coronavirus. “Stavolta – spiegano gli autori della ricerca – abbiamo raccolto campioni da una stanza di un reparto dedicato ai pazienti Covid-19 presso l’Ospedale universitario della Florida Health Shands. Nessuno era soggetto a procedure mediche note per la generazione di aerosol. Con due campionatori, uno a due e uno a circa cinque metri, abbiamo potuto raccogliere il materiale genetico infetto”. Gli esperti spiegano che la sequenza del genoma del virus isolato era identica a quella di un tampone di un paziente sintomatico appena ricoverato nella stanza, dotata di filtri efficienti, irradiazione ultravioletta e altre misure di sicurezza per inattivare il virus prima che l’aria fosse reintrodotta nella stanza. “Questo potrebbe essere il motivo per cui abbiamo trovato solo 74 particelle virali per litro di aria – sostiene John Lednicky, virologo presso l’Università della Florida – gli spazi interni senza una buona ventilazione, come le scuole, potrebbero accumulare molti più virus nell’aria”.
Altri scienziati hanno osservato che la difficoltà principale era estrapolare i risultati per stimare il rischio di infezione di un individuo. “Non sono sicura – commenta Angela Rasmussen, virologa della Columbia University di New York – che questi numeri siano abbastanza rappresentativi per provocare un’infezione. La conclusione che posso trarre è che è possibile per un virus mantenere la propria carica virale nell’ambiente. E non è un risultato da poco”. Diversi esperti hanno notato che la distanza alla quale il team ha trovato il virus è decisamente superiore rispetto alle misure di sicurezza raccomandate dalle autorità. “Sappiamo che negli ambienti chuisi – sostiene Schofield – la distanza di sicurezza cambia. Ci vogliono circa cinque minuti perché piccoli aerosol attraversino la stanza anche in aria ferma. Il minimo di un metro è fuorviante, perché le persone pensano di essere protette all’interno e in realtà non lo sono”.
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