Coronavirus in Canada: il racconto dell’epidemia
Anche il Canada dà il via alla fase 2. Dopo l’ondata di Covid-19 riaprono i ristoranti, i parchi pubblici, persino le scuole ma la raccomandazione delle autorità regionali resta sempre quella di essere prudenti e di non allontanarsi troppo dalle proprie abitazioni. Dopo due mesi di lockdown iniziano i primi passi verso la normalità anche se il primo ministro Justin Trudeau ha annunciato che, per riaprire le frontiere con l’America, e poi con il resto del mondo, bisogna aspettare almeno il 21 giugno.
Intanto ogni regione decide il come e il quando avviare la fase due, a seconda dei casi di Coronavirus e dell’andamento della curva. Per esempio, nelle aree più colpite, le scuole non riprenderanno prima di settembre, sebbene per tutto maggio la speranza fosse quella di riaprire prima. Alcune tra le più importanti università, come Mc Gill University e l’Université de Montréal hanno già fatto sapere che molti corsi della sessione estiva e autunnale riprenderanno ma online. Come è stato per l’Italia che ha dovuto fare i conti inizialmente con Lombardia e Veneto, anche il Paese della foglia d’acero ha avuto due regioni particolarmente colpite dal Coronavirus: Québec e Ontario. Per avere un’idea, dei 79.112 casi confermati in Canada oltre 67.500 sono concentrati in queste due zone. Un numero davvero considerevole se paragonato alle altre regioni canadesi.
Ma perché proprio quelle due aree sono state le più colpite? Per capire il motivo bisogna tornare agli inizi di marzo nel pieno della cosiddetta “semaine de relâche”, le vacanze di primavera. In questo periodo le scuole chiudono e le famiglie si spostano nei paesi caldi per spezzare il rigido inverno canadese (le temperature possono raggiungere i -30 gradi). Anche gli studenti universitari ne approfittano per andare a trovare le loro famiglie nei paesi di provenienza. Questo ha fatto sì che molti si trovassero a rientrare per permette al Canada di chiudere le frontiere e iniziare il lockdown. Questo ha allungato i tempi prima che le regioni potessero chiedere lo stato d’emergenza sanitaria.
Nel frattempo il sito del governo avvisava i viaggiatori di mettersi in isolamento qualora presentassero i sintomi o tornassero dai Paesi particolarmente colpiti, come Cina o Italia. Ma la sensazione era quella che ci fosse ancora del tempo prima che lo “tsunami” arrivasse anche qui. La percezione comincia a cambiare quando la first lady canadese, Sophie Grégoire Trudeau risulta positiva al test del Coronavirus, dopo aver manifestato i sintomi di ritorno da Londra. Tuttavia il numero di contagi sembra ancora contenuto, il 13 marzo in Canada si contano meno di 200 casi. Mentre l’Italia, in quella stessa giornata, fa i conti con un bilancio ben diverso: 15.113 positivi, 1.258 ricoverati e 1.016 decessi.La situazione è destinata a cambiare presto.
L’altra causa che ha fatto sì che il Coronavirus interessasse due regioni in particolare, è l’alta concentrazione di case di riposo in Québec e Ontario. Una situazione che tristemente si è ripetuta in Europa, negli Stati Uniti e anche in Canada, come confermato dall’Oms, sebbene con modalità diverse. Ad inizio aprile il primo ministro del Québec, François Legault, si trova ad affrontare un’importante carenza di personale nelle case di cura a lungo termine, una carenza che diventa ancora più critica con buona parte del personale già in quarantena. A metà aprile mancano all’appello circa 2000 tra medici e infermieri. Il ministro del Québec chiama a raccolta prima i medici di base, poi chiunque volesse dare una mano e infine chiede aiuto alla capitale Ottawa.
Il ministro federale della sanità, Patty Hajdu, invia 1.000 medici tutti bilingue (particolare importante in un Paese diviso tra il francese e l’inglese). Nonostante gli sforzi il bilancio non è dei migliori. Nello specifico, secondo uno studio pubblicato dall’International Long-Term Care Policy Network (ILTCPN), il 62% dei decessi correlati al Coronavirus in Canada, sono avvenuti nelle case di cura a lungo termine. A fine aprile il capo della sanità pubblica canadese, la dott.ssa Theresa Tam, ha affermato che metà delle persone che sono morte in Canada erano anziani che vivevano in questi istituti.
Montréal è il cuore della pandemia, in proporzione è quella con più casi rispetto a tutte le altre città e territori messi insieme, con 22.636 positivi e 2.367 decessi (santemontreal.ca). Nonostante alcuni quartieri del nord di Montréal siano ancora da monitorare, la sindaca Valerie Plante sta riprogettando la città. In questi ultimi mesi le macchine sono sempre di meno e con l’arrivo della bella stagione, le persone in giro sono molte di più. Il comune sta quindi allargando lo spazio dedicato ai pedoni e alle bici, riducendo la carreggiate per le auto. Questo dovrebbe permettere a tutti i cittadini di uscire continuando a mantenere il distanziamento sociale. Intanto La sindaca Plante ha preso parte alla task force mondiale, composta da 11 sindaci, volta alla ripresa dal Covid-19.
Insieme a Plante ci sono anche i sindaci di Hong Kong, Lisbona, Melbourne, New Orleans e Freetown, Sierra Leone. Oltre a fare un quadro generale di quelli che sono stati i numeri, gli sviluppi della pandemia canadese, ci sono anche degli elementi che restituiscono il volto umano di questa crisi. Sto parlando degli arcobaleni di carta appesi alle finestre, sono comparsi ovunque anche nelle vetrine dei negozi chiusi, il ponte storico di Montréal, pont Jacque Cartier, che si illumina tutte le sere con i colori dell’arcobaleno in segno di solidarietà in questa strana battaglia. E poi c’è stata una particolare attenzione dedicata alle giovani generazioni, da parte delle autorità, a partire dal discorso del primo ministro del Canada, Justin Trudeau, che ha ringraziato, durante la consueta conferenza giornaliera, tutte le bambine e i bambini che hanno dovuto rinunciare ai pigiama party, agli amici, alla scuola e alla settimana di vacanza. Spiega poi che questo sacrifico è necessario per sostenere i nonni, gli infermieri e i dottori. Come se non bastasse questo intero discorso è stato poi ricreato e riproposto in versione Lego.
A questa narrazione per aneddoti, prende parte anche il primo ministro del Québec Françoi Legoult che, sempre all’interno del consueto appuntamento con i giornalisti durante il lockdown, ha risposto pubblicamente alla lettera di una bambina che chiedeva se la fatina dei denti potesse andarla a trovare. Legout ha risposto, molto seriamente, assicurando che la fatina dei denti ha piene facoltà di svolgere il suo lavoro perché rientra nei lavori di prima necessità e che inoltre è immune al corona virus. Questi sono stati alcuni episodi che hanno dato tregua al quotidiano e triste resoconto dell’andamento della pandemia. Sicuramente la politica non ha il compito di intrattenere e adesso dovrà fare i conti con il bilancio di questi mesi, ma poter vedere il lato umano nel pieno di una pandemia globale, sicuramente ha sollevato lo spirito di molti che erano chiusi a casa, magari da soli, e avevano bisogno di una parola di conforto.
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