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    Corea del Nord, il regime che fa comodo all’Occidente: parla Loretta Napoleoni

    Il dittatore nord-coreano Kim Jong Un assiste al lancio di un missile Hwasong-12. Credit: KCNA via Reuters

    La scrittrice, consulente di governi e di organizzazioni internazionali, risponde alle domande di TPI sul regime nordcoreano e sulle sue relazioni con il resto del mondo

    Di Clarissa Valia
    Pubblicato il 2 Feb. 2018 alle 10:18 Aggiornato il 6 Feb. 2020 alle 18:44

    La Corea del Nord è il nemico necessario. Uno stato che non trova una catalogazione, unico e impenetrabile. Spesso è complicato riconoscere le notizie vere da quelle false che circolano sul suo conto.

    A fare un po’ di chiarezza sul tema ci ha provato Loretta Napoleoni, economista e scrittrice, che con il suo ultimo libro “Kim Jong-un il nemico necessario – Corea del Nord 2018” (Rizzoli, 264 pagine) traccia un’analisi offrendo al lettore un resoconto fuori dagli schemi.

    La presenza di Kim Jong-un, è una delle tesi del libro, fa comodo al resto del mondo. Kim ha infatti la funzione di capro espiatorio che fa da scudo alle debolezze delle nostre democrazie.

    Attribuiamo alla Corea del Nord colpe che si perdono nella nube di mistero che la circonda, per apparire sempre vincenti.

    La Corea del Nord è sopravvissuta all’implosione dell’Unione Sovietica e alla modernizzazione del comunismo in Cina. Viene soprannominata “regno eremita”, è uno stato unico nel suo genere. Perché la definisce il “nemico necessario”, the country we love to hate?

    Dal 1989 in poi c’è stata l’esportazione il tutto il mondo della democrazia, considerata un modello politico vincente.

    In Corea del Nord questo però non è accaduto. L’esistenza della Corea del Nord per come è oggi, uno stato che immaginiamo alla stregua di un regime sovietico, dittatoriale, è quasi una consolazione per noi.

    Il regime di Kim è un “nemico necessario” che esiste per controbilanciare la parte negativa di un mondo uniformato sotto l’emblema della democrazia.

    È reale la minaccia di una guerra nucleare da parte di Kim Jong-un?

    Sì, penso che Kim non esiterebbe a utilizzare l’arma nucleare se si sentisse sotto attacco, cioè se percepisse che l’Occidente vuole distruggere il suo regime. La minaccia è reale.

    Alle Olimpiadi invernali del prossimo febbraio alcuni atleti delle due Coree gareggeranno sotto un’unica bandiera. Questo può rappresentare un segno di distensione tra i due paesi per arrivare alla riunificazione?

    Secondo me le Olimpiadi sono una grande opportunità. Che poi questa opportunità verrà portata avanti senza complicazioni di sorta è impossibile.

    Si tratta sempre di due paesi che tecnicamente parlando sono ancora in guerra, quindi è chiaro che ci saranno degli alti e bassi.

    Mi preoccupa però l’atteggiamento dell’Occidente: i leader delle grandi potenze si sono incontrati per decidere un giro di vita ulteriore sulle sanzioni economiche, senza la Cina e la Russia. Sono segnali privi di logica.

    Il Canada voleva fare una bella figura, gli Stati Uniti hanno preso la palla al balzo e tutti gli altri hanno partecipato per potersi fare la foto ricordo con il presidente degli Stati Uniti.

    Le ultime sanzioni imposte dall’Onu, con l’appoggio della Cina, colpiscono le importazioni del petrolio, fondamentale per la Corea del Nord. Nel suo libro lei individua come “unica via percorribile” quella della diplomazia.

    Quanto successo per le Olimpiadi conferma come la via diplomatica sia una soluzione possibile.

    L’invito a partecipare alle Olimpiadi è di certo una manovra diplomatica, se non altro per risolvere la situazione o quantomeno per calmarla.

    Secondo Trump la negligenza delle amministrazioni precedenti ha permesso alla Corea del Nord di sviluppare i dispositivi nucleari accrescendo la sua potenza atomica. Il presidente degli Stati Uniti riuscirà a convincere il leader nordcoreano a sedersi al suo tavolo?

    Io non scarterei questa ipotesi. Trump viene considerato da molti un buffone, ma non è così. È molto intelligente e sa più cose di quello che si pensa.

    Credo che Trump, proprio a causa della sua imprevedibilità, potrebbe riuscire a trovare una soluzione pacifica. Sarebbe importante usare la Corea del Nord per costruire un nuovo paradigma, un protocollo che sia in grado di contenere queste nuove potenze nucleari attraverso degli accordi specifici.

    Ciò sarebbe auspicabile in considerazione del fatto che questi paesi, se vogliono, alla fine le armi nucleari riescono a costruirle. La stessa cosa vale per l’Iran; tra dieci anni saremo qui a discutere degli iraniani che hanno la bomba. Allora tanto vale che uno dica: che la sviluppino, ma rispettando determinati parametri.

    Esiste un collegamento tra il programma nucleare di Pyongyang e quello missilistico di Teheran? Esiste davvero questo sostegno militare bilaterale sospettato dalla Cia?

    Non credo che la Corea del Nord abbia fornito qualcosa all’Iran, o viceversa. Penso invece che il punto d’incontro tra i due paesi sia rappresentato dal Pakistan. È il Pakistan che ha venduto la tecnologia nucleare agli iraniani, nonché ad Israele.

    I giovani nordcoreani che sono riusciti a fuggire raccontano che le nuove generazioni del paese stanno scoprendo quel mondo esterno a loro precluso, e che si stanno allontanando dalla venerazione del leader-padre protettore o, forse, oppressore. È possibile una ribellione generazionale?

    I dissidenti tendono sempre ad ingigantire le loro storie. In questo caso sono pochi in rapporto, ad esempio, a quelli che scappavano dall’Unione sovietica. La Corea del Nord è un paese chiuso all’esterno. Come fa un giovane a sapere quello che succede nel resto del mondo? Internet non c’è, è bloccato.

    Per quella che è la mia esperienza, non ho visto nessun risveglio delle coscienze, nessuna manifestazione significativa. Al contrario, vedo un grande supporto nei confronti del leader e un miglioramento delle condizioni economiche.

    I diplomatici che sono sul posto e con cui ho parlato mi hanno confermato che questo tipo di ribellione non c’è, se non a livello sociale, di costumi, ad esempio nei confronti del divieto di fare sesso prima del matrimonio.

    Kim Jong-un è stato paragonato al leader del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio. Con lui l’Italia entrerebbe in uno stato di isolamento come quello nordcoreano?

    No, Kim Jong-un è un uomo molto intelligente, Di Maio non è un uomo intelligente. Di Maio è uno che sta lì perché portava la giacca e cravatta, perché ha i capelli corti e basta. Non ha un minimo di carisma. Non vedo proprio il paragone.

    Inoltre Di Maio è uno che sta lì per l’ultima volta, per la prima e ultima volta. Tecnicamente parlando questa è la sua seconda candidatura dopodiché dovrà andarsene a casa. Kim Jong-un invece sta lì per sempre, ha una continuità.

    Kim Jong-un aveva e ha una visione ben precisa di quello che deve fare e di cosa deve succedere nella Corea del Nord. Il Movimento 5 Stelle non ha un’idea.

    Kim Jong-un ha fatto una politica nel 2017: lancio dei missili, ha pubblicizzato il nucleare, ha fatto capire al mondo che sono una potenza nucleare.

    Il confronto con Di Maio non esiste. Tanto poi il Movimento 5 Stelle al governo non ci va, non va da nessuna parte.

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