La città di Seul è stata costretta a rivedere le regole che imponevano test Covid obbligatori ai lavoratori stranieri dopo le forti proteste da parte delle missioni diplomatiche e delle Camere di commercio europea e americana in Corea del Sud, che hanno parlato di un atto “discriminatorio” e xenofobico e dopo che la Commissione nazionale per i diritti umani ha confermato l’apertura di un indagine sul provvedimento, adottato da diverse autorità locali.
La decisione di Seul è arrivata è arrivata dopo che il quartier generale dell’ente che si occupa del controllo della pandemia in Corea del Sud ha dichiarato di aver chiesto alla città di ritirare il provvedimento, e di eliminare discriminazione e violazioni dei diritti dalle politiche di testing anti-Covid. “La richiesta è di impedire che gli sforzi anti-Covid-19 causino discriminazioni o violazioni dei diritti umani nei confronti di cittadini e cittadini stranieri”, si legge in un comunicato dell’ente citato dall’agenzia Reuters. Ciononostante, le autorità cittadine raccomandano ancora di eseguire test sia ai lavoratori stranieri sia a quelli coreani nei luoghi di lavoro “ad alto rischio”.
Il provvedimento era stato adottato, tra gli altri, dalle autorità locali di Seul e della vicina provincia di Gyeonggi. Sulla questione si era aperta una protesta formale del Regno Unito, appoggiata da diverse altre missioni diplomatiche e da diversi leader sudcoreani. Anche Gyeonggi, dove l’ordine è in vigore fino a lunedì, ha detto di aver eliminato l’obbligo di testare i lavoratori stranieri prima dell’assunzione.
Gli stranieri rappresentano il 6,3 per cento dei casi confermati a Seul da gennaio, contro il 2,2 per cento a novembre e dicembre, aveva spiegato Park Yoo-mi, un ufficiale di quarantena della città. “I lavoratori stranieri sono i nostri vicini e la sicurezza dei lavoratori stranieri è direttamente collegata alla sicurezza della comunità locale”, aveva detto in conferenza stampa.
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