Passa la linea proibizionista. Nei giorni scorsi, il Consiglio dell’Unione Europea a guida ungherese ha dato il via libera alle discusse raccomandazioni contenenti i nuovi divieti su fumo e svapo. Un euro-diktat che fa storcere il naso a molti, e che vede già sul piede di guerra esercenti e rappresentanze datoriali in tutto il Continente. Il timore è infatti che quelle indicazioni possano avere conseguenze socioeconomiche negative per gli Stati membri con una forte vocazione turistica, come l’Italia.
Il tenore di queste nuove proposte è chiaro. Da un lato il divieto di fumo, oltre che al chiuso, viene esteso a diversi luoghi all’aperto: parchi giochi, parchi divertimenti, piscine, edifici pubblici, fermate degli autobus, stazioni e finanche spazi esterni all’aperto o semi-aperti di ristoranti, bar, caffetterie e locali simili. Dall’altra, la grande novità riguarda i prodotti. Non saranno più soltanto le sigarette ad essere colpite ma anche i cosiddetti prodotti senza combustione, quali le sigarette elettroniche e i prodotti a tabacco riscaldato, anche se questi non producono fumo passivo ma un aerosol.
L’Ue finora sembra non voler ascoltare le lamentele e le preoccupazioni degli addetti ai lavori, come imprese e associazioni di categoria del settore ristorazione e ospitalità (in Italia aveva protestato anche la FIPE-Confcommercio Federazione Pubblici Esercizi), che temono per le probabili ricadute sul piano economico.
Anche le rimostranze degli Stati membri sono cadute nel vuoto, con alcuni Paesi, tra cui l’Italia, che si erano adoperati per segnalare a Bruxelles le incongruenze formali e sostanziali della proposta della Commissione. Il legislatore Ue ha infatti deciso di ignorare i commenti ufficialmente pervenuti dai Paesi membri, eliminando qualsiasi livello di discussione per rendere effettiva la proposta iniziale nel più breve tempo possibile.
Una premura difficilmente comprensibile, considerando che non sono previsti vincoli di tempo per l’aggiornamento della normativa in materia (l’ultima risale al 2009). Né si spiega come mai si sia deciso di procedere anche senza fornire stime ufficiali di impatto delle misure proposte, nonostante le proteste degli esercenti europei. Non c’è stata quindi la possibilità di un costruttivo dialogo e dibattito con i Paesi membri, le cui proteste dei rappresentanti europei in Consiglio sono state ignorate.
A prevalere sinora è stata invece la linea dei burocrati, favorita da un’accelerazione dei tempi avvenuta sotto la presidenza ungherese di turno al Consiglio europeo. Il sospetto di alcuni addetti ai lavori è che su queste dinamiche abbia pesato anche l’ormai prossimo voto sui Commissari Europei, tra cui quello di nomina ungherese, le cui competenze dovrebbero essere proprio in materia di salute.
Eppure ancora c’è una carta da giocare. Spetta infatti ora agli europarlamentari decidere se confermare o rivedere questi diktat sul fumo. Il 27 novembre prossimo, toccherà al Parlamento Europeo discutere la propria risoluzione sulla materia. Per la prima volta saranno quindi i rappresentanti eletti direttamente dai cittadini europei a dire la loro sulle nuove restrizioni.
L’auspicio è che quanti si sono detti contrari a una certa agenda ideologica della Commissione non manchino di farsi sentire su questo tema, accogliendo anche le perplessità espresse dal mondo delle imprese. Va ricordato che questo genere di raccomandazioni europee non sono di per sé vincolanti e non pongono degli obblighi giuridici. Tuttavia rappresentano uno strumento di “moral suasion” molto potente nei confronti degli Stati membri, al fine di indurli a legiferare nella direzione suggerita.
Inoltre, l’esito della discussione è destinato nel medio periodo ad avere ripercussioni molto concrete: il 2025 vedrà infatti l’apertura delle procedure per il rinnovo delle direttive europee in materia di fumo e svapo – quelle sì vincolanti per tutti gli Stati Membri – e la direzione che l’Ue assumerà già in questa fase sarà un chiaro indicatore delle intenzioni di Bruxelles. Bisognerà quindi, ancora una volta, scegliere tra una linea di buon senso o una ideologica e poco democratica.
Leggi l'articolo originale su TPI.it