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    Congo, i Caschi Blu sparano e uccidono civili: il fallimento dell’Onu di cui nessuno parla

    Di Cecilia Capanna
    Pubblicato il 8 Ago. 2022 alle 12:44

    Nonostante l’estrema gravità, nel mondo accadono fatti di cui non si parla o si parla troppo poco. Nelle scorse settimane, per esempio, sono passate in sordina notizie sconvolgenti provenienti dalla Repubblica Democratica del Congo.
    Il 26 luglio a Goma, in risposta alle forti proteste della popolazione del Nord Kivu contro la MONUSCO (la Missione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per la Stabilizzazione nella RD del Congo), i Caschi Blu hanno aperto il fuoco ad altezza uomo contro la folla. Sarebbero morti almeno 12 manifestanti e 3 soldati dell’ONU, ferite circa 50 persone.
    Pochi giorni dopo, il 31 luglio a Kassindi, alla frontiera tra RD del Congo e Uganda “per ragioni inspiegabili” i militari della Brigata d’Intervento ONU di ritorno dal congedo hanno aperto il fuoco contro l’avamposto frontaliero. È imprecisato il numero dei morti e dei feriti. Secondo indiscrezioni, i Caschi Blu si sarebbero rifiutati di registrarsi alla frontiera, forse perché nei blindati nascondevano qualcosa o qualcuno che non doveva essere scoperto.

    Se già la guerra in RD del Congo sembra non interessare il mainstream, stavolta non si racconta che a uccidere sono stati quelli che dovrebbero proteggere la popolazione, quelli pagati da noi per garantire la pace, i “buoni”. Perché?

    John Mpaliza, attivista italo-congolese, ha commentato così: “Ho dovuto chiedere una tregua a chi mi manda i video che documentano delitti sempre più sanguinosi e atroci nel mio paese. Molti non posso neanche mostrarli alla mia compagna. È assurdo che la stampa generalista non parli di quello che succede in Congo. Ma è abbastanza eloquente che la RAI non abbia più inviati nel sud del mondo, soprattutto nell’Africa subsahariana. Per avere informazioni bisogna passare da Aljazeera e pochi altri. Molti vescovi continuano a denunciare le occupazioni dei territori del Congo orientale da parte di gruppi ruandofoni che tentano di sostituirsi alle popolazioni originarie. Ne denunciano i massacri, le case bruciate, gli stupri come arma di guerra. Ma nessuno li ferma”.

    All’ombra del conflitto tra Russia e Ucraina, mentre si declama che questa guerra cambierà l’assetto geopolitico del pianeta, si trascurano molte altre guerre combattute in teatri terzi e in cui è evidente la spaccatura del mondo in due metà che curano i propri interessi alle spese di paesi devastati e ridotti alla fame. Una di queste è proprio quella in RD del Congo, definita “guerra civile”, “di natura etnica” o “tra gruppi anche di natura islamista”. Una guerra spesso liquidata come troppo complicata da capire e da risolvere, che ha invece origini storiche e attori ben precisi e si consuma non a caso solo nella regione orientale del paese: le ambitissime Nord Kivu, Sud Kivu e Ituri. Si tratta della zona con il sottosuolo più ricco del mondo. Vi si trovano cassiterite, oro, petrolio e il famoso coltan, preziosissimo per le aziende high-tech per ottimizzare il consumo di energia nei chip, quindi la durata delle batterie dei nostri telefoni e computer. È la stessa zona in cui è stato assassinato l’ambasciatore italiano Luca Attanasio, il carabiniere di scorta Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo mentre la attraversavano con un convoglio non protetto dell’agenzia ONU World Food Programme. Nemmeno la loro morte ha portato l’attenzione mondiale a cercare le verità dietro cosa succede quotidianamente in Congo. E casualmente il viaggio del Papa che all’inizio di luglio scorso avrebbe dovuto dire messa dove sono stati uccisi non c’è stato.

    Quante volte ci si chiede come mai paesi come il Congo siano tanto ricchi di minerali e acqua e invece la loro gente muore di fame e di sete? E per quale motivo da settimane non si fa altro che parlare degli accordi per far partire le navi da Odessa con le derrate di cereali ucraini che dovrebbero sfamare l’Africa, facendo leva su sentimenti pietistici, e poi si ignorano volutamente le atrocità che vengono commesse nel continente?

    Probabilmente le coscienze e il comune pensare si sollevano all’idea che le missioni dell’ONU siano stanziate nelle zone calde del conflitto. Purtroppo però la MONUSCO è stata più volte accusata di crimini gravissimi e per questo i cittadini e i governanti congolesi ne stanno chiedendo il ritiro. A maggior ragione dopo le due sparatorie dei giorni scorsi, documentate con video agghiaccianti. Stavolta non ci si può confondere, non si è trattato di battaglie tra indefiniti eserciti di ribelli o irregolari, stavolta hanno sparato i Caschi Blu. Perché non vengono aperte delle indagini interne? Per la MONUSCO viene speso circa un miliardo di dollari l’anno. Perché i 193 paesi che fanno parte dell’ONU e ne sono finanziatori non si sono pronunciati sui crimini dei suoi soldati?

    Pierre Kabeza, rifugiato politico congolese in Italia, ex sindacalista attivista per il diritto alla scuola di tutti i bambini in Congo, spiega perché: “I crimini dei Caschi Blu in Congo vengono commessi da anni e sono stati documentati con video e foto. Si parla di violenza sulle donne, anche sulle bambine, e traffici illeciti di minerali come oro e coltan. La società civile congolese e anche la chiesa li ha accusati moltissime volte. Inoltre i cittadini congolesi non si sono mai sentiti protetti dalla MONUSCO sin dall’inizio della missione. I Caschi Blu sono da sempre inerti di fronte ai massacri che si sono consumati e si consumano all’ordine del giorno”.

    John Mpaliza e Pierre Kabeza sono d’accordo nel dire che è necessario il disimpegno della MONUSCO ma con un’agenda di uscita in pace. “Le missioni hanno un inizio e una fine e questa ha anche dimostrato di aver fallito” dice Mpaliza. Da parte degli Stati Uniti, che sono i maggiori finanziatori delle Nazioni Unite, l’unica risposta in merito è stata chiedere alla RD del Congo di garantire sicurezza ai Caschi Blu (che dovrebbero garantire la sicurezza dei congolesi!) e di mantenere gli stanziamenti ONU per almeno altri 15 anni. Nel frattempo sui social un video mostrerebbe nuovi Caschi Blu scendere da un aereo dell’Ethiopian Airlines atterrato all’aeroporto di Goma.

    A questo punto ci si chiede: in che stato di salute versano le Nazioni Unite? Hanno dimostrato di funzionare nei loro 77 anni di vita? Come si è arrivati al punto in cui MONUSCO è in missione in Congo per garantire pace e protezione e invece violenta donne, traffica minerali di contrabbando, spara sui civili per uccidere?

    “Il primo problema delle Nazioni Unite è di sistema”, spiega Roberto Savio, giornalista esperto di multilateralismo e cooperazione internazionale. “I paesi fondatori, USA, Russia, Cina, Inghilterra e Francia, sono i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza che ha l’ultima parola su qualsiasi proposta. La regola vuole che per deliberare ci voglia l’unanimità. Basta il veto di uno solo dei 5 paesi e qualsiasi delibera viene bloccata. Questo ha impedito all’ONU di funzionare dal punto di vista esecutivo come garante di pace e protezione come è scritto nero su bianco sul suo Statuto. Succede che, in barba al Diritto Internazionale e alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ora uno ora l’altro paese fa prevalere i propri interessi e impedisce le risoluzioni sconvenienti e scomode. Oltre a questo c’è un altro problema di cui si parla poco. Anche qualora vengano rilevati e documentati crimini di guerra o contro l’umanità, non tutti i paesi aderenti all’ONU hanno ratificato gli accordi per cui il Tribunale dell’Aia ha autorità nel loro territorio. Si parla moltissimo dei crimini di guerra di Putin in Ucraina per esempio. Lo stesso Biden punta il dito ma né Russia, né Ucraina e tantomeno gli Stati Uniti riconoscono il Tribunale dell’Aia. Tantomeno la Cina. Ovvero tre su cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza ONU, oltretutto i più influenti”.
    Si spiega così la situazione assurda nella RD del Congo, dove tutti e cinque i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza hanno degli interessi economici forti.

    Cosa succede veramente in Congo?

    Pierre Kabeza ha usato una suggestiva immagine: “Possiamo rappresentare questa guerra come un albero nella foresta.
    Le radici sono nascoste, sono sottoterra, non si possono vedere, sono le multinazionali e dietro di loro i grandi paesi come USA, Israele, Inghilterra, Europa. Le radici alimentano il tronco che è visibile da vicino e comprende tutti i paesi vicini al Congo: Ruanda, Uganda, Burundi, Angola. I rami e le foglie si vedono anche da lontano e sono i gruppi armati che si fanno la guerra tra di loro e vengono alimentati dal tronco. Tutte le parti poi sono nutrite dalla linfa: gli interessi economici”.

    Ma oltre ai paesi del blocco occidentale, in Congo sono presenti i cosiddetti BRIC: Brasile, Russia, India, Sud Africa sotto lo scudo della Cina. O addirittura BRICSIA, come li ha chiamati il giornalista trentino Raffaele Crocco aggiungendo Iran e Argentina. La presenza della Cina è stata legittimata dallo stesso ex presidente Kabila che a suo tempo ha firmato con i cinesi un accordo che prevede la costruzione di infrastrutture da parte del paese straniero per quasi 9 miliardi di dollari. Per compensazione, la Cina avrebbe così acquisito legittimamente il diritto di mettere mano alle risorse del sottosuolo congolese. Il commento di Kabeza: “Dobbiamo capire che in Congo è stata fatta quella che hanno chiamato la Guerra Mondiale Africana”.

    John Mpaliza ha spiegato: “Non si può capire la situazione della RD del Congo senza ricostruire almeno gli ultimi 40 anni di storia del paese”. Mpaliza racconta come il Congo in particolare sia stato uno dei paesi chiave nello scacchiere della guerra fredda, tanto che anche Che Guevara aveva tentato di organizzarne la rivoluzione.
    Già prima della Guerra Fredda in Congo c’erano due basi militari USA. L’uranio delle bombe atomiche su Nagasaki e Hiroshima fu preso nel Katanga. Poi il trentennio di presidenza del dittatore “anti comunista” Mobutu, successore del primo ministro assassinato Lumumba, nasconderebbe la mano degli Stati Uniti nell’orientare le sorti politiche del paese con il preciso obiettivo di andare a cercare questa volta il coltan: un minerale fondamentale per la tecnologia e strategico per il pentagono. In seguito, la disgregazione dell’Unione Sovietica dopo la caduta del Muro di Berlino avrebbe portato il ritorno forzato degli Stati Uniti in Africa centrale. Approfittando del conflitto etnico in Ruanda nel 1994 e della guerra in Congo del ’96 gli Usa avrebbero sostituito Mobutu con Laurent-Désiré Kabila per rinforzare la loro posizione economica.

    La globalizzazione successivamente ha intensificato la presenza delle multinazionali e lo sfruttamento della mano d’opera a bassissimo costo. Nelle miniere sono stati impiegati i bambini, almeno quelli che non sono diventati Kadogo (in swhaili “i piccolissimi”) ovvero i bambini-soldato reclutati dai più di 100 eserciti che insanguinano il Congo orientale.

    Da quel momento è iniziato lo sfruttamento del sottosuolo e il tentativo di balcanizzazione del paese, spiega Mpaliza: “Per questo noi congolesi pensiamo che l’invasione del Congo da parte del Ruanda con Uganda e Burundi non sia stato un fatto casuale. Si è trattato di un qualcosa di pianificato che ha compreso i massacri in Ruanda e anche quelli in Congo. Si stima che i congolesi uccisi ad oggi siano 10 milioni”.

    Ed è a questo punto che si inserisce la missione ONU e la presenza dei Caschi Blu, arrivati nel 1999 con la funzione di osservatori e in seguito con quella ibrida di peacekeepers. Sono state le Nazioni Unite infatti a volere il Rapporto Mapping, un dettagliatissimo dossier in cui sono documentati i crimini più efferati consumatisi in Congo dal 1993 al 2003. Per gli oltre 6 milioni di vittime calcolate però non è stata fatta giustizia perché quel rapporto è finito chiuso in un cassetto. I personaggi e i paesi coinvolti sembrerebbero essere tali per cui qualsiasi disposizione a procedere verrebbe bloccata dal veto di quello o quell’altro membro permanente del Consiglio di Sicurezza. È già eloquente il fatto che l’attuale presidente della RD del Congo Félix Tshisekedi
    neghi la validità del Rapporto Mapping. Proverebbe ineluttabilmente la responsabilità di molti personaggi ancora presenti nel panorama politico e militare del paese.

    Il presidente inoltre ha deciso di “ricominciare da zero” con Ruanda e Uganda e ha firmato con loro accordi economici segreti per cui la razzia di minerali congolesi sembrerebbe essere in qualche modo legalizzata. Mpaliza commenta: “L’interesse comune economico sul Congo di Ruanda e Uganda li unisce. Possono fare finta di litigare tra di loro ma quando è il momento di agire ai danni del Congo lo fanno insieme”.

    Chi arma gli attori della guerra in Congo?

    Il fatto che le armi estremamente sofisticate dell’esercito irregolare ruandese M23 facciano impallidire la MONUSCO lascia supporre che a rifornirlo siano le super potenze come USA, Canada, Europa, Inghilterra e Israele. Un fatto che renderebbe inutile e senza senso l’embargo delle armi in Congo stabilito dal Consiglio di Sicurezza ONU. Il Congo non si potrebbe armare mentre i suoi aggressori confinanti sì. Ad inizio luglio il Consiglio si è spaccato proprio su questo tema, con Francia da una parte e Inghilterra e Usa dall’altra. Intanto Boris Johnson avrebbe firmato un accordo per mandare in Ruanda i migranti indesiderati che con buone probabilità finirebbero per essere arruolati militarmente.

    Guardando a casa nostra, l’Italia formerebbe i militari ruandesi e Leonardo avrebbe venduto elicotteri militari all’esercito ugandese. Proprio sulle armi vendute dall’Italia in Uganda a febbraio scorso c’è stata una interrogazione parlamentare.

    Dunque a fare del male alla RD del Congo è “la tribù bianca”, per dirla con Padre Alex Zanotelli. Ma non è sola: i paesi confinanti sono nemici interni insieme alla corruzione dilagante. Nel 2023 dovrebbero esserci le prossime elezioni, come dovrebbero andare per vedere uno spiraglio di speranza? Kabeza e Mpaliza rispondono allo stesso modo: bisogna riconoscere i crimini e dare giustizia alle vittime e ci vuole la volontà politica a livello nazionale e internazionale di costruire la pace e la vera democrazia attraverso il dialogo ognuno con i rispettivi oppositori. Per poter fare questo, dovrebbe candidarsi e vincere le elezioni il premio Nobel per la pace Denis Mukwege, il medico che ha curato e salvato migliaia di donne stuprate. Glielo sta chiedendo un gruppo di intellettuali congolesi con una lettera firmata. La sua statura morale, il fatto che è conosciuto a livello internazionale e abbia accesso alle alte sfere politiche mondiali di fronte alle quali denuncia continuamente i crimini commessi nel suo paese, fanno di lui l’uomo chiave che potrebbe scrivere la nuova storia della RD del Congo. Resta un dubbio: la “tribù bianca” glielo permetterebbe?

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