Nella notte tra il 3 e il 4 luglio, la Corea del Nord ha testato un nuovo missile. Il suo lancio è avvenuto – come ormai di consueto – in violazione delle regole internazionali ed è coinciso con i festeggiamenti per l’indipendenza degli Stati Uniti.
Il 5 luglio, Washington ha confermato che l’arma lanciata nel mar del Giappone è un dispositivo a lungo raggio. Secondo alcuni esperti sarebbe un missile intercontinentale in grado di raggiungere l’Alaska equipaggiato con una testata nucleare.
Gli Stati Uniti sono pronti ad affrontare un attacco missilistico nordcoreano?
Il capitano della Marina Jeff Davis – e portavoce del Pentagono – ha dichiarato che gli Stati Uniti hanno piena fiducia nella propria capacità di difendere il suolo americano contro la crescente minaccia nordcoreana. Davis ha citato un test effettuato con successo nel maggio 2017 in cui un dispositivo balistico intercettore ha abbattuto un missile in volo durante una simulazione di attacco da parte della Corea del Nord.
“I risultati che abbiamo sono contrastanti, ma dimostrano la nostra capacità di difenderci e di sparare più di un missile intercettore”, ha dichiarato Davis.
A ogni modo, gli esperti non sono concordi sulla possibilità da parte statunitense di bloccare una attacco balistico multiplo. Se la tecnologia e la produzione missilistica della Corea del Nord progredisse, le difese americane potrebbero essere sopraffatte da questa minaccia.
“Nei prossimi quattro anni, gli Stati Uniti devono aumentare la capacità dei propri sistemi di difesa e sviluppare un dispiegamento missilistico più rapido e veloce”, ha affermato Riki Ellison, fondatore della Missile Defense Advocacy Alliance, un’organizzazione no-profit americana che realizza studi nell’ambito delle scienze strategiche.
Le quattro opzioni per Trump
Ma quali sono le opzioni in mano al presidente Donald Trump per affrontare le nuove armi di Kim Jong-un? Secondo il quotidiano statunitense New York Times sarebbero appena quattro. E tutte presentano svantaggi.
La prima è una politica di contenimento classico: limitare la capacità del regime di Pyongyang di espandere la propria influenza nella regione. Il modello sarebbe quello della Guerra fredda condotta dagli Stati Uniti contro l’Unione Sovietica. Questa soluzione non risolverebbe il problema, ma sarebbe solo un modo di convivere con la minaccia nordcoreana.
La seconda carta in mano all’amministrazione statunitense è quella di aumentare le sanzioni, rafforzare la presenza navale americana nella penisola asiatica e accelerare il programma segreto di sabotaggio cybernetico dei sistemi di lancio dei missili. Ma se questa combinazione di intimidazione e competenze informatiche avesse avuto qualche possibilità di successo, Kim Jong-un probabilmente non continuerebbe a condurre test nucleari e balistici.
Un’altra opzione sul tavolo è intraprendere un attacco preventivo contro le installazioni militari di Pyongyang in caso di attacco missilistico imminente. Questa è la soluzione più rischiosa e quella che offre meno garanzie agli Stati Uniti. La Corea del Nord ha prodotto diversi tipi di missili e li ha dislocati in tutto il proprio territorio.
Negli ultimi anni è stata sviluppata una nuova generazione di armi balistiche a combustibile solido, che possono essere facilmente nascoste nelle grotte montane di cui il paese asiatico abbonda e che possono essere lanciate rapidamente.
Inoltre Pyongyang possiede una formidabile arma di ritorsione, l’artiglieria lungo il bordo settentrionale della Zona Demilitarizzata che potrebbe distruggere Seul, la capitale della Corea del Sud, una città di circa 10 milioni di persone.
L’ultima opzione disponibile è la negoziazione, una politica fortemente caldeggiata dal nuovo presidente della Corea del Sud, Moon Jae-in. Questa soluzione prevede con un congelamento dei test nucleari e missilistici da parte di Pyongyang in cambio di un accordo con gli Stati Uniti per limitare o sospendere le esercitazioni militari con la Corea del Sud.
Il presidente cinese Xi Jinping ha a lungo proposto questo approccio, registrando anche il consenso del capo del Cremlino Vladimir Putin. Questo tipo di soluzione permetterebbe a Cina, Russia e Corea del Nord di limitare la libertà di azione degli Stati Uniti nel teatro del Pacifico occidentale e nel corso del tempo eroderebbe la qualità del deterrente militare degli alleati dell’Occidente in quell’area.
Una politica di questo tipo congelerebbe l’attuale situazione in cui Pyongyang detiene tra le 10 e le 20 armi atomiche e le riconoscerebbe sostanzialmente la legittimità di tale arsenale.