Conosco da diversi anni la donna seduta di fronte a me in questo colloquio tra genitori e insegnanti, e ne abbiamo passate tante insieme.
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Ho insegnato a tre dei suoi figli, e mi piace pensare che durante questo periodo siamo diventate amiche. Si tratta di una madre coscienziosa, che ovviamente vuole bene con tutto il cuore ai suoi bambini. Sono sempre stata onesta con lei sui loro punti di forza e sulle loro carenze, e credo che lei si fidi del fatto che io le dica la verità.
Ma nel momento in cui mi confida una preoccupazione che la sta assillando da qualche tempo, tutto quello che riesco a fare è annuire e cercare di prendere tempo. “I voti di Marianna sono buoni, non mi preoccupano, ma il fatto è che non mi sembra più innamorata dello studio come una volta”.
Ha assolutamente ragione. Avevo notato la stessa cosa in sua figlia negli ultimi due o tre anni in cui sono stata la sua insegnante di scuola media di inglese e latino, e in realtà ho una risposta, proprio sulla punta della lingua, riguardo a cosa è andato storto.
Eppure sono combattuta tra la mia responsabilità di aiutare Marianna e la consapevolezza che quello che ho da dire è una verità che non so quanto questa madre sia pronta ad ascoltare. La verità è questa: sua figlia ha sacrificato la sua naturale curiosità e il suo amore per l’apprendimento sull’altare dei risultati, ed è colpa nostra.
I genitori di Marianna, i suoi insegnanti, la società in generale: siamo tutti coinvolti in questo crimine contro l’apprendimento.
Dal suo primo giorno di scuola, le abbiamo indicato quel percorso e l’abbiamo educata a misurare i suoi progressi attraverso voti, punteggi e premi. Abbiamo insegnato a Marianna che il suo potenziale è legato al suo intelletto, e che il suo intelletto è più importante della sua personalità.
Le abbiamo insegnato a tornare a casa inorgoglita quando otteneva una “A”, o un trofeo in un campionato, o l’ammissione da parte di un college prestigioso, e inavvertitamente le abbiamo insegnato che in fondo non ci interessa molto il modo in cui ha ottenuto tutto ciò.
Le abbiamo insegnato a proteggere la sua perfezione accademica ed extracurricolare costi quel che costi, e che è meglio lasciar perdere quando le cose si fanno impegnative piuttosto che rischiare di rovinare un curriculum perfetto.
Sopra ogni altra cosa, le abbiamo insegnato a temere di sbagliare: il fallimento. Quel timore è ciò che ha distrutto il suo amore per l’apprendimento. Guardo questa madre dal volto preoccupato con in mano una matita, ansiosa di prendere appunti sulle mie parole di saggezza.
Faccio fatica a trovare un modo delicato per spiegarle che il suo quotidiano assillare la figlia rispetto ai voti perpetua la dipendenza di Marianna dalla tendenza di sua madre a risolvere problemi e intervenire a suo nome, e allo stesso tempo le insegna che le ricompense esterne sono di gran lunga più importanti dell’impegno che mette nella sua formazione.
Marianna è così preoccupata di compiacere i suoi genitori che l’amore che provava per l’apprendimento ha lasciato il posto alla sua voglia di approvazione da parte loro. È chiaro che la tendenza di questa madre ad essere vigile e protettiva è solo un sintomo d’amore.
Vuole il meglio per i suoi figli, eppure ciò che potrebbe minare il loro successo è proprio il modo in cui incoraggia il genere di risultati che crede possano aiutarli ad assicurarsi felicità e onori futuri. Marianna è molto intelligente e ottiene ottimi risultati, e sua madre glielo ricorda quotidianamente.
Tuttavia, Marianna non viene lodata per la sua diligenza e per l’impegno che mette nell’insistere con un problema di matematica particolarmente difficile, o una complessa ricerca scientifica. Se la risposta alla fine della pagina è errata, o se arriva a un punto morto nella sua ricerca, ha fallito, e non conta ciò che ha imparato dal suo tentativo.
Invece, contrariamente a quanto lei possa credere, è in queste situazioni più difficili che sta imparando. Impara a essere creativa nel risolvere problemi. Impara la diligenza. Impara l’autocontrollo e la perseveranza.
Ma visto che è spaventata a morte dall’idea di fallire, ha iniziato a correre meno rischi intellettuali. Le pesa scrivere brutte copie, e non le piace proporre ipotesi o pensare a voce alta in classe. Sa che se si cimenta in qualcosa di impegnativo o di nuovo e fallisce, quel fallimento sarà la prova schiacciante che non è davvero così intelligente come tutti continuano a dirle. Meglio non rischiare.
È questo che vogliamo?
Ragazzi che prendono una “A” dopo l’altra, ma odiano l’apprendimento? Ragazzi che raggiungono grandi risultati a livello accademico, ma hanno troppa paura di fare un salto verso l’ignoto? La madre di Marianna ha raggiunto grandi risultati a scuola e poi nel lavoro, e conosce per esperienza personale il valore del duro lavoro.
Sua madre le ha permesso di sbagliare, giocare e imparare per il puro gusto di apprendere, ma ora che è lei stessa una madre, ha perso di vista il valore dello sforzo.
È troppo preoccupata dei risultati futuri di Marianna per permettere a sua figlia di lavorare sugli ostacoli che si pongono sul suo cammino.
Vuole offrire tutto a Marianna, ma dimentica che le sue migliori esperienze infantili probabilmente sono scaturite dall’emozione di affrontare delle sfide, dai momenti in cui si è persa nei tentativi e, quando falliva, dal provare di nuovo a realizzare qualcosa da sola, semplicemente per il piacere e il senso di avventura insiti nell’imparare qualcosa di nuovo.
Capisco questa mamma, perché è uguale a me. E dirle la verità è difficile sia perché ho paura che si metta sulla difensiva e si offenda, sia perché questo significa che dovrò affrontare gli stessi errori nel mio essere madre.
Forse è il momento di condividere qualche verità con lei mentre cerco di capire dove sono andata fuori strada, e insieme possiamo aiutare i nostri ragazzi a riscoprire il loro coraggio intellettuale, il loro entusiasmo per l’apprendimento, e la capacità di recupero di cui hanno bisogno per diventare adulti indipendenti e competenti.
Con un po’ di fortuna, ripenseranno alla loro infanzia e ci ringrazieranno; non solo per il nostro amore incrollabile, ma anche per la nostra volontà di mettere i loro bisogni emotivi e di sviluppo a lungo termine prima della loro felicità a breve termine; per la nostra volontà di lasciare che le loro vite siano giusto un po’ più difficili di come sono oggi, affinché sappiano come affrontare le difficoltà di domani.
Prendo un bel respiro, incrocio le dita, e le dico la verità.
Questo articolo è stato originariamente pubblicato qui ed è estratto dal libro The Gift of Failure (2015), della giornalista e insegnante statunitense Jessica Lahey. Traduzione a cura di Guglielmo Latini
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