Spari su studenti e operai, strade incendiate, cariche delle forze dell’ordine sui civili: da dieci giorni consecutivi la Colombia è scossa da grandi proteste contro il governo del presidente Iván Duque e la sua gestione della pandemia. Ad alimentare le contestazioni c’è anche la durissima repressione che le forze dell’ordine hanno messo in campo fin da subito, con un bilancio ancora da verificare oltre 30 morti e più di 800 arrestati, a cui si aggiungono almeno 89 desaparecidos e 10 casi di violenze sessuali da parte della polizia.
Le rivolte coinvolgono moltissime città, ma le zone più calde restano Cali e Bogotà. La capitale è una città in pieno caos: militarizzata, con la metropolitana bloccata, le stazioni di servizio in sciopero e le ambulanze che fanno avanti e indietro per dare soccorso sia ai malati di Covid-19 che ai manifestanti feriti.
I motivi della protesta
Ma cosa c’è dietro questo caos sociale? Tutto è scoppiato dal disegno di legge che il presidente Duque, del partito di destra Centro Democrático, paradossalmente nominato di “solidarietà sostenibile”. Un progetto – che lo stesso Duque ha chiesto al Congresso di ritirare dopo i primi giorni di proteste – che mirava a fronteggiare la crisi dovuta alla pandemia con risorse provenienti in gran parte dalla già martoriata classe media. Oltre all’aumento delle imposte dirette e indirette, in particolare sui beni di largo consumo, la reforma tributaria prevedeva di diminuire significativamente la soglia di no tax area, includendo quindi nella tassazione fasce di popolazione ai limiti della soglia di povertà. Proprio adesso che, a causa della pandemia, il 42,5 per cento rientra in questa categoria: circa 21 milioni di abitanti su 51, di cui ben sette milioni in povertà estrema.
Dopo l’escalation di violenza il progetto è stato accantonato, ma le proteste sono continuate. Anche perché lo stesso presidente ha ribadito la volontà di elaborare “urgentemente” una nuova iniziativa, “frutto però del consenso”. E su binari paralleli procede anche un’altra riforma, quella del sistema sanitario, attualmente in Parlamento. Riforma che aumenta le privatizzazioni e, secondo il personale ospedaliero, peggiora le condizioni di lavoro negli ospedali colombiani. Ecco perché a solidarizzare con i manifestanti ci sono anche i lavoratori della sanità, in un Paese che conta quasi tre milioni di contagiati e oltre 72mila morti a causa del Covid-19.
I problemi del Paese
La situazione in Colombia era già tesa da tempo. Le proteste del 2019 contro la disuguaglianza economica avevano portato ad alcune misure previdenziali, ma con la pandemia la situazione è precipitata. Si stima che nell’ultimo anno 2,8 milioni di persone siano sprofondate in condizione di povertà estrema. Il lockdown colombiano è stato e uno dei più lunghi al mondo, reintrodotto a più riprese. E questo ha comportato la chiusura di oltre 500mila attività. In tutto ciò la finanziaria del governo Duque avrebbe aggiunto carico ulteriore sulle spalle dei ceti medio-bassi, con un aumento dell’imposta sugli scambi (la nostra IVA) su beni di prima necessità come uova, riso e farina e con l’abbassamento della soglia per pagare l’imposta sul reddito. Il tutto con scarsissima pressione fiscale sulle imprese e sulle classi più abbienti.
La crisi economica è il principale motivo di scontento, ma c’è un altro retroscena importante per capire le proteste: l’esasperazione nei confronti della violenza delle forze dell’ordine. Già lo scorso settembre c’erano state manifestazioni contro la brutalità della polizia dopo la diffusione di un filmato che mostrava l’aggressione all’avvocato Javier Ordóñez, fermato per aver violato il distanziamento sociale e morto qualche ora più tardi.
Interviene anche l’esercito
Attualmente la repressione in strada è degenerata perché anche l’esercito è stato impiegato per bloccare le manifestazioni. In carica da 3 anni, Duque avrebbe dovuto rappresentare un cambio di rotta più moderato rispetto alle destre che hanno governato la Colombia negli ultimi decenni, in realtà il suo governo si è subito posto in continuità con l’operato dell’ex presidente Álvaro Uribe, suo mentore politico, che infatti su Twitter (in un tweet rimosso per apologia della violenza) ha esortato la polizia e l’esercito a “far valere il proprio diritto di usare le armi”.
A spaventare la popolazione è soprattutto l’Esmad, l’Escuadrón Móvil Antidisturbios (squadrone mobile antisommosse), che è quello che rimane degli squadroni della morte che hanno imperversato tra il 2000 e il 2016 contro i guerriglieri delle FARC-EP, ma anche contro i civili ritenuti base sociale della guerriglia.
Durante il weekend del 1 maggio molti video hanno mostrato le forze di sicurezza che sparavano contro i manifestanti, speronavano la folla con le motociclette e colpivano i manifestanti con gli scudi. Uno in particolare ha scosso l’opinione pubblica. È stato girato a Ibagué e mostra il momento in cui una donna scopre che suo figlio di 19 anni è stato ucciso dagli agenti. Una violenza inaudita che è stata condannata anche dalle Nazioni Unite e dall’Unione europea.
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