Il presidente tunisino Kais Saied va avanti spedito e dopo aver rimosso il primo ministro, congelato i lavori del parlamento per 30 giorni e annunciato che assumerà lui stesso gli incarichi di governo, ha licenziato per decreto anche una ventina di alti funzionari governativi e il procuratore generale militare Taoufik Ayouni.
Il presidente licenzia 20 alti funzionari di governo
Tra i silurati eccellenti ci sono il segretario generale del governo, Walid Dhahbi e il presidente del Comitato generale dei martiri e dei feriti della rivoluzione e degli atti terroristici, Abderrazek Kilani. La crisi politica scatenata da Saied domenica sera affonda le sue origini in una instabilità politica endemica, in una pesante crisi economica e la conseguente incapacità del governo deposto di gestire la pandemia da Coronavirus, che in Tunisia è una delle peggiori di tutta l’Africa.
Dopo la Primavera araba del 2011, la Tunisia è stata l’unico Paese ad aver mantenuto una forma di governo democratica, ma negli ultimi 10 anni la democrazia tunisina si è mostrata molto fragile e instabile. Oggi il Paese sta affrontando una crisi senza precedenti, con il tasso di disoccupazione al 18%. Il partito di governo Ennahda non è riuscito a fronteggiare la situazione economica aggravata dall’arrivo del Covid: ad oggi, solo il 7% della popolazione risulta completamente vaccinato, mentre oltre il 90% dei posti letto in terapia intensiva è occupato, secondo i dati del ministero della Salute.
La crisi economica e sanitaria
Frustrati per il malessere economico e la cattiva gestione della pandemia, migliaia di manifestanti hanno sfidato domenica le restrizioni imposte per evitare il contagio e il caldo torrido nella capitale, Tunisi, per chiedere lo scioglimento del Parlamento. La folla, in gran parte composta da giovani, ha chiesto elezioni anticipate e nuove riforme economiche. Gli agenti hanno usato gas lacrimogeni per disperdere alcuni dei dimostranti, che avevano lanciato oggetti contro di loro, e hanno effettuato diversi arresti. Il presidente Saied ha allora annunciato di aver ‘deposto’ il primo ministro e sospeso il Parlamento a causa delle preoccupazioni per la tenuta dell’ordine pubblico. Nonostante Saied abbia un percorso da politico democraticamente eletto – a differenza di altri capi di Stato come il presidente egiziano Al Sisi – anche fuori dalla Tunisia, sempre più analisti e osservatori hanno cominciato a descrivere quello che sta avvenendo nel Paese come un golpe.
L’attacco alla stampa
Due giorni fa, lunedì 26 luglio, le forze dell’ordine tunisine hanno chiuso la sede locale della tv araba con base in Qatar, Al Jazeera. Ai giornalisti e impiegati è stato intimato in tempo utile di abbandonare i luoghi, ha fatto sapere il direttore della sede di Tunisi, Lotfi Hajji. Poco prima Al Jazeera sulla propria pagina Facebook, basandosi su “fonti tunisine ben informate”, aveva scritto che il premier Hichem Mechichi non si trova agli arresti ma a casa sua e che ha intenzione di riunire ugualmente il Consiglio dei ministri.
Nel pomeriggio di oggi, mercoledì 28 luglio, si apprende dalla rete “Woman in journalism” che la giornalista del New York Times Viviane Yee è stata arrestata dalle forze dell’ordine e i vari osservatori sono preoccupati per l’incalzare degli attacchi alla stampa.
Le reazioni di Arabia Saudita e Turchia
“Sosteniamo tutto ciò che garantisce la sicurezza e la stabilità della Tunisia e siamo certi della capacità della Tunisia di superare la situazione attuale e di garantire una vita dignitosa al suo popolo”, si legge intanto in un comunicato del ministero degli Esteri saudita sulla situazione in Tunisia, rilanciato dai media locali.
“L’ Arabia Saudita invita anche la comunità internazionale a stare al fianco della Tunisia in queste circostanze per affrontare le sue sfide sanitarie ed economiche”. Mentre il ministro degli Esteri turco Mevlüt Cavusoglu ha espresso espresso al telefono con il suo omologo tunisino Othman Jerandi “l’attaccamento della Turchia alla sicurezza e alla stabilità del Paese”, sottolineando la “fiducia della Turchia nella capacità della Tunisia e del suo popolo di superare queste delicate circostanze”.
Il timore per l’aumento degli sbarchi in Italia
Nel frattempo, il caos politico in Tunisia scatena paure più o meno giustificate dall’altra sponda del Mediterraneo. Tra queste l’incremento degli sbarchi a Lampedusa e in altri punti di approdo nel Sud Italia, dove gli arrivi di migranti si sono moltiplicati negli ultimi giorni, spingendo le autorità locali a chiedere al governo nuovi e tempestivi accordi con il Paese del Nord Africa. Secondo fonti di stampa tunisine, migliaia di cittadini – fino a 15 mila – sarebbero pronti a lasciare il Paese e ad attraversare il Mediterraneo per raggiungere l’Italia.
Lo scorso maggio la questione migratoria tunisina è stata al centro della seconda missione del ministro dell’Interno Lamorgese e dei rappresentanti Ue a Tunisi, durante la quale sono state tracciate le prime linee guida su rimpatri, smantellamento delle reti di trafficanti, in vista di un grande accordo di partenariato strategico fra l’Unione europea e la Tunisia, che dovrebbe intervenire non prima di fine anno.
Attivisti e giuristi hanno denunciato la “poca trasparenza” sugli accordi internazionali e bilaterali finora conclusi tra Italia e Tunisia, sia quelli più recenti che quelli del passato, a partire da quello sottoscritto il 6 agosto 1998 dall’allora Ministro degli Esteri italiano, Lamberto Dini, e dall’ambasciatore tunisino a Roma.
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