La Cina si è difesa dalle critiche internazionali ricevute a seguito della morte del dissidente e premio Nobel Liu Xiaobo, scomparso giovedì 13 luglio 2017. Il paese asiatico aveva rifiutato all’attivista la possibilità di curarsi all’estero per un cancro al fegato.
Pechino ha detto che il caso di Xiaobo era una questione interna e ha definito “impropri” i commenti degli altri paesi.
L’attivista stava scontando una pena di 11 anni di carcere per “sovversione”. Era stato scarcerato per essere curato in un ospedale cinese, dove è morto a 61 anni.
Ora Germania, Regno Unito, Francia, Stati Uniti e Taiwan chiedono che la Cina consenta alla moglie dell’attivista, la poetessa Liu Xia, di lasciare il paese se lo desidera. La donna, da anni agli arresti domiciliari, soffrirebbe di depressione.
Il Comitato per il Nobel, che gli ha conferito il premio per la pace nel 2010, ha pubblicato un comunicato in cui sostiene che la Cina ha una “grave responsabilità” per la sua morte.
Il 13 luglio la presidente del comitato per l’assegnazione del premio Nobel per la pace, Berit Reiss-Andersen ha dichiarato di aver ricevuto la notizia della morte di Xiaobo con grande tristezza.
“Mi disturba il fatto che i rappresentanti del mondo libero che tengono in alta considerazione la democrazia e i diritti umani, non riescono a battersi per quegli stessi diritti in altri paesi”, ha dichiarato la Reiss-Andersen.
“Il governo cinese ha una grave responsabilità per questa morte prematura”, ha aggiunto la presidente. “Liu Xiaobo doveva essere trasferito in una struttura sanitaria dove avrebbe potuto ricevere le cure prima di raggiungere lo stadio terminale”, ha concluso la Reiss-Andersen.
Critiche sono arrivate anche dal ministro degli Esteri tedesco, Sigmar Gabriel, e da quello britannico, Boris Johnson, che ha definito “sbagliata” la decisione di non inviare Xiaobo all’estero per essere curato.
Anche Zeid Ra’ad al Hussein, Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, ha commentato la scomparsa del premio Nobel per la pace cinese. “Il movimento in favore del rispetto dei diritti umani in Cina e nel mondo ha perso il suo principale campione”, ha dichiarato al Hussein.
L’Alto commissario ha chiesto anche al governo di Pechino di permettere alla moglie di Xiaobo, anch’essa detenuta, di viaggiare all’estero.